La ripresa della natalità è una costante di tutti gli esercizi di proiezione demografica e non si è mai concretizzata. Il secondo effetto della glaciazione demografica è la massiccia riduzione delle persone in età di lavoro e degli occupati. Una riduzione che è maggiore del calo della popolazione perché oggi le coorti anziane sono più numerose di quelle giovani, cosicché l’uscita delle prime dal mercato del lavoro non può essere compensata dall’ingresso delle seconde.

Le cifre

Le persone in età di lavoro nel Nord Italia diminuiscono tra il 2023 e il 2040 di 3,2 milioni, da 16 milioni a 12,8 (sempre in assenza di rinforzi da fuori). È una diminuzione di un quinto, con dinamiche simili tra regioni, con eccezioni in positivo (Alto Adige e Trentino) e in negativo (Friuli-Venezia Giulia e Liguria).

Le regioni che dovranno accogliere più immigrati sono Lombardia (528mila), Veneto (455mila), Piemonte (372mila) ed Emilia-Romagna (206mila). Il Veneto è penalizzato dai minori afflussi previsti dalle altre regioni d’Italia. All’opposto, l’Emilia-Romagna ha la più alta attrattività dal resto del Paese e, quindi, deve accoglierne meno in rapporto alla popolazione. Ma un dato è comunque chiaro: nessuna regione può farne a meno se non vuole perdere pezzi della sua economia.

Maggiori saranno gli effetti che si conseguiranno dall’attrattività dei giovani, dalla piena partecipazione delle donne nel mondo del lavoro e dall’allungamento della vita lavorativa (fino a 67-70 anni), minore sarà la necessità di lavoratori.

La sparizione dei giovani

Il più drammatico effetto della glaciazione demografica è la sparizione dei giovani. Nel 2002 i 18-34enni che vivevano nel Nord Italia erano 5,8 milioni. Nel 2023 ne erano rimasti 4,7 milioni, ma senza gli arrivi dall’estero sarebbero stati 3,6 milioni. Nel 2040 ce ne saranno meno di quattro milioni, ossia una diminuzione di quasi 1,8 milioni dal 2002, in assenza di ulteriori afflussi interni e internazionali.

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