Il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) ed Europea (Esa), è impegnata da oltre vent’anni nello studio di questi sistemi di coltivazione in orbita. Con La Sapienza di Roma ha sviluppato un orto a bordo di un micro satellite che è stato lanciato dalla base Kourou, nella Guyana francese. A oltre 6mila km dalla terra, ha rappresentato l’orto più lontano dalla terra. E sulla stazione spaziale internazionale (Iss, a soli 400 km dalla terra) si trova già “Veggie”, orto spaziale con lo scopo di studiare la crescita delle piante in microgravità, aggiungendo al contempo cibo fresco alla dieta degli astronauti.

«Chiaramente quando parliamo di missioni più lunghe – specifica De Pascale – occorrerà pensare a colture che hanno un valore nutrizionale più alto rispetto a quello delle insalate, le cosiddette colture di base sulla terra. Tra queste, le patate, la soia e il riso. Con Thales Alenia Space di Torino stiamo lavorando a un’unità modulare per la coltivazione di tuberi di patata in microgravità a bordo della stazione spaziale internazionale. In particolare noi siamo alla ricerca della cultivar più adatta. Sempre con l’Asi e La Sapienza stiamo sviluppando anche piante di riso specificamente migliorate e adattate per l’ambiente spaziale». Cultivar e soluzioni di coltivazione che verrebbero poi impiegate anche sulla Terra in zone poco adatte alla coltivazione, come i deserti, i poli o le megalopoli.

Il progetto “Melissa” (Micro-Ecological Life Support System Alternative), invece, che impegna l’Esa da oltre trent’anni, studia i sistemi di supporto vitale rigenerativi, che mirano al massimo grado di autonomia e quindi a produrre cibo, acqua e ossigeno dai rifiuti della missione. L’Italia è punto di riferimento per lo studio delle piante appunto. L’obiettivo è portare l’uomo a produrre alimenti sulla Luna o meglio su Marte, visto che ormai da 25 anni almeno si sta indagando la possibilità della vita su quello che viene considerato un pianeta gemello.

Ma per chi non può attendere la conquista dello spazio, c’è la possibilità di cenare presso il primo ristorante stellato in orbita. I posti sulla navicella sono sei e già prenotabili per il lancio di debutto del 2025, anche se il costo è decisamente fuori dal comune: circa 450mila euro. Il viaggio – a emissioni zero carbonio – è proposto dalla compagnia di viaggi spaziali di lusso SpaceVIP e avrà una durata di sei ore a 30mila metri di altitudine. Includerà un menù fisso con piatti realizzati dallo chef danese Rasmus Munk, il cui ristorante Alchemist di Copenaghen ha ricevuto due stelle Michelin nel 2021. Il ricavato della spedizione sarà destinato a un’associazione che sostiene l’uguaglianza di genere nella scienza e nella tecnologia.

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