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Diciamoci la verità, nei palazzi della politica nessuno prende davvero sul serio Roberto Vannacci. A torto o a ragione, la convinzione comune a politici e addetti ai lavori è che il generale non abbia lo standing, ovvero la struttura, le conoscenze e le competenze, per essere un fattore nel medio e lungo periodo. Dietro l’attenzione mediatica e la centralità nel dibattito pubblico di questi mesi, in effetti, c’è sempre stata pochissima sostanza: un’accozzaglia di idee banalotte e piuttosto abusate, riversate un po’ alla rinfusa in un pamphlet sgrammaticato e pieno di contraddizioni, ma diventato ugualmente il caso letterario degli ultimi anni. Non c’è moltissimo da dire sul punto, perché il generale incarna la maschera del conservatorismo spicciolo, dello zio attempato al pranzo di Natale che rimpiange “i bei tempi andati”, di chi usa l’ombrello del buonsenso per dire bestialità di ogni tipo. Nemmeno la costruzione del personaggio Vannacci sembra essere stata memorabile, dopo alcuni passaggi a vuoto nelle decine e decine di interviste rilasciate ai principali media italiani e il secondo libro, un’autobiografia che si dipana tra il ridicolo e la mitomania.

E allora, come si spiega il fenomeno Vannacci? Perché ne stiamo parlando da mesi e, soprattutto, perché la sua candidatura alle Elezioni Europee con la Lega sta facendo così tanto discutere? Ha senso parlarne come fosse solo una creazione dei media o c’è qualcosa di più profondo che ci sfugge?

Vannacci non è un game changer, probabilmente. Ciò che dice non ha la carica dirompente che pretende di avere, non fosse altro perché si muove in continuità con la deriva del dibattito pubblico degli ultimi anni. Non c’è idea, ragionamento o concetto che non sia stato lentamente sdoganato dalla destra italiana, che non sia stato già digerito e metabolizzato dagli italiani. Le posizioni di Vannacci su aborto, immigrazione, sessualità, per quanto retrive e antistoriche, non sono che la versione scarna e diretta di un pensiero che ha invaso e saturato ogni spazio di confronto su media. Quello che dice il generale lo abbiamo letto sui giornali della destra, lo abbiamo sentito nei talk show televisivi, ne abbiamo avuto piccoli assaggi in Parlamento o nei consigli regionali. Niente di nuovo, niente di rivoluzionario da segnalare. Mancava forse un volto unico e riconoscibile, che non dovesse in qualche modo giustificarsi delle proprie posizioni con partiti, militanti o elettori.

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La sensazione è che Vannacci incarni goffamente lo spirito di questo tempo e proprio per questo sia riuscito a ritagliarsi spazio e considerazione nel dibattito pubblico. La sua ascesa è una somma di paradossi e controsensi: scrive cose tremende e di una pochezza imbarazzante ma per questo diventa “l’interprete del Paese reale”; mette in imbarazzo dei vertici dell’istituzione che rappresenta e colleziona procedimenti disciplinari per vicende di altro, emergendone come martire della censura; trae autorevolezza dal vuoto cosmico di riferimenti culturali all’altezza nel campo conservatore/populista, in misura ben al di là delle confuse idee messe nero su bianco ne “Il mondo al contrario”; l’assenza di un dibattito serio sulla contemporaneità e sui cambiamenti della società gli regala la patente di difensore della normalità contro la cultura woke. Così via, tassello dopo tassello, intervista dopo intervista, l’epopea del generale arriva alla vigilia delle Elezioni Europee “più importanti della storia”, quando il generale finisce col diventare il candidato perfetto. Per tutti.

Il candidato perfetto per le Elezioni Europee

Perché Vannacci fa comodo un po’ a tutti. Serve prima di tutto a Matteo Salvini, che sta disperatamente cercando un posizionamento che gli consenta di reagire alla lenta e inesorabile emorragia di voti e peso politico verso Fratelli d’Italia. Il generale, che è impresentabile per un partito come Fratelli d’Italia (che non deve recuperare consensi ma piuttosto evitare situazioni imbarazzanti, data l’entità della partita che sta giocando Giorgia Meloni), sembra invece perfetto per lo scopo del ministro dei Trasporti. Con lui si può provare a parlare all’elettorato ultraconservatore e a quella galassia sovranista-populista ancora in cerca di un collocamento definito (e al momento rappresentata solo da sigle con scarsa rilevanza elettorale). Il generale può essere il collettore di tutte quelle istanze e battaglie in cui la Lega salviniana è frenata dall’essere al governo del Paese e in ruoli di primo piano nelle istituzioni (e non è un caso che a storcere il naso siano soprattutto i governisti del Carroccio). Oltre al fatto che, da candidato formalmente indipendente, Vannacci potrà anche permettersi di passare il segno e di andare oltre la già molto bassa asticella dell’accettabilità e del contegno.

Ma la candidatura del generale nella Lega sta bene anche agli alleati di governo. A Tajani che ha un elemento ulteriore per marcare la differenza con Salvini e porre Forza Italia come solo orizzonte per la destra moderata e liberale. E a Meloni, che non ha alcun interesse nell’imbarcarsi un personaggio del genere, nel momento in cui Fratelli d’Italia non ha bisogno di voti ma di credibilità internazionale e di una campagna elettorale pulita e senza scivoloni. Peraltro, per quanto possano sembrare simili o almeno vicine, sarebbe un errore pensare che le due piattaforme siano sovrapponibili: la destra che Meloni sta cercando di costruire è moderna nelle forme e negli obiettivi, ideologicamente lontana dal pensiero reazionario di Vannacci e politicamente distinta dal sovranismo populista di Salvini.

Ovviamente, il generale è il nemico perfetto per la sinistra. Soprattutto per il Partito democratico, perché incarna tutti gli stereotipi e le convinzioni invise sia all’elettorato progressista che a quello riformista/liberale. La critica a Vannacci unisce tutte le correnti del partito, le sue idee demarcano nettamente il campo di cosa è accettabile o meno per un elettore di centrosinistra, la sua visione del mondo è antitetica rispetto a quella dei militanti democratici. Non è un caso che il primo vero posizionamento comunicativo sia stato contro Vannacci, che pure ha dato una buona mano con l’ennesima uscita sconclusionata su un tema di grande rilevanza. Infine, avere Vannacci sotto le insegne del Carroccio è utile anche al Movimento 5 stelle. Conte potrà rivendicare facilmente l’alterità del suo modello, rompendo definitivamente la connessione con Salvini e mandando definitivamente in archivio l’esperienza gialloverde, che pure aveva avuto una certa presa tra l’elettorato grillino.

È ovviamente un gioco d’inganni. Tutti sanno che Vannacci non può essere preso sul serio, ma fa comodo a tutti raccontarlo come un pericolo incombente o, dall’altra parte, come un politico in rampa di lancio. È un giochino pericoloso, però. Perché non dovremmo preoccuparci solo di chi regge il megafono, ma anche del messaggio che ne esce e di come ci stiamo abituando, o meglio rassegnando, a tutto. L’aver assecondato il Vannacci – pensiero prima di Vannacci è stato l’errore più grave.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell’area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.

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