L’industria chimica traina la competitività e l’internazionalizzazione del made in Italy, ma deve fare i conti con l’eccessiva burocrazia e ha bisogno di «una gestione sostenibile delle materie prime e dei costi energetici, aspetti cruciali per contrastare la concorrenza globale, in particolare da Paesi che non sempre rispettano i nostri stessi standard ambientali, sociali e di sicurezza», afferma il presidente di Federchimica, Francesco Buzzella. I numeri di uno studio della federazione hanno evidenziato l’effetto spillover, le esternalità, generate dagli investimenti sulla chimica ad alta specialità. Per 400 milioni di euro investiti, se ne generano 6 miliardi sull’intera economia italiana. Lo studio è stato presentato nel corso di un incontro sull’”Innovazione chimica”, a Palazzo Madama a Roma, voluto dal ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, in collaborazione con Federchimica. Hanno partecipato anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso e quello dell’Università e della ricerca, Annamaria Bernini, oltre a numerose imprese, istituzioni finanziarie, enti di ricerca. Tajani ha parlato della chimica come di «un acceleratore di innovazione, export, crescita». Per questo, ha assicurato, «vogliamo mettere le nostre imprese nelle migliori condizioni per crescere e creare benessere. Abbiamo rafforzato la squadra della crescita, ICE, SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, tutti presenti oggi, che è al fianco delle nostre imprese per aiutarle a crescere nei circuiti internazionali. Dall’inizio del mio mandato ho messo in campo una precisa strategia di diplomazia della crescita, a favore dell’export e per l’internazionalizzazione dei nostri territori. Per questo abbiamo lanciato in questi giorni una strategia di ulteriore rafforzamento e diversificazione dei nostri mercati di sbocco. Guardiamo con attenzione a tutti i mercati emergenti più promettenti in ottica di diversificazione». Nella visione di Urso «l’industria chimica in Italia rappresenta una delle colonne portanti della nostra economia, con un fatturato di 77 miliardi di euro e un ruolo centrale in Europa, essendo terzi per produzione dopo Germania e Francia. Intendiamo rendere questo settore sempre più competitivo, innovativo e sostenibile, puntando sulla ricerca e sull’internazionalizzazione. Questi i motori strategici che guideranno lo sviluppo futuro della chimica italiana e contribuiranno alla crescita economica e sociale del Paese».

L’export e la ricerca

Il settore è fortemente orientato all’export, che dal 2010 al 2023 è cresciuto dell’85%, con un valore totale che ha raggiunto 40,6 miliardi di euro, il 6,4% sul totale delle esportazioni nazionali. «Contestualmente la ricerca supporta l’internazionalizzazione sviluppando materiali, prodotti, soluzioni innovative che hanno maggiore domanda sui mercati esteri, rafforzando l’intero sistema manifatturiero italiano», ha spiegato Buzzella. Innovazione e ricerca significa anche collaborazione con il mondo accademico. A questo proposito il ministro Bernini ha ricordato che «la chimica è al centro della trasformazione scientifica e industriale del nostro tempo. La sua trasversalità la rende un motore di innovazione in molti settori, dall’ambiente alla salute, dall’industria ai nuovi materiali. Con 125 corsi di laurea in Italia, la formazione chimica sta evolvendo per rispondere alle sfide del mercato del lavoro e della società, con percorsi altamente specializzati e orientati alla sostenibilità e alle nuove tecnologie. Le Università italiane, con corsi sempre più all’avanguardia, dimostrano come ricerca e internazionalizzazione siano leve strategiche per il futuro della chimica e dell’intero Paese».

La competitività globale

Il confronto internazionale indica che gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione per la chimica europea e la Cina è il primo fornitore per l’Europa. In questo scenario, la Cina produce prevalentemente commodities a basso costo, mentre gli Usa sono anche alla ricerca di specialità innovative. In Italia la chimica è tra i settori con la più diffusa presenza di imprese innovative (80%) e, diversamente da altri comparti, l’innovazione si basa sulla ricerca. Del resto, dopo la farmaceutica, la chimica è il primo settore per quota di imprese che svolgono attività di Ricerca e sviluppo (75%). La ricerca non coinvolge solo le realtà più grandi, ma anche le Pmi. In ambito europeo l’Italia è il secondo Paese, dopo la Germania, per numero di imprese chimiche attive nella ricerca, oltre 1.200. Al tempo stesso l’81,5% delle imprese ha investito per cogliere opportunità all’estero, il 35,4% ha investito all’estero (da sola o in joint) e il 74,1% è impegnato in progetti internazionali. Oltre la metà delle imprese giudica importante la ricerca per farsi strada nei mercati internazionali. Tutti dati che ribadiscono il valore strategico dell’innovazione chimica a favore di una espansione sui mercati esteri. La ricerca genera, infatti, competitività e apre la via verso l’estero con importanti ritorni positivi per tutto il sistema Paese: tre quarti delle imprese hanno programmi di collaborazione internazionali confermando la propensione delle imprese alla ricerca e il contributo che la chimica in Italia offre alla presenza internazionale dell’industria italiana in generale. Dato il ruolo della chimica per la competitività le imprese chiedono di fare sì che i punti di forza non diventino debolezze. In questo contesto, come rileva la vicepresidente alla ricerca di Federchimica, Ilaria Di Lorenzo, «la competitività dell’industria europea è a rischio su terreni che tradizionalmente erano suoi punti di forza, come evidenziato dal Rapporto Draghi alla Commissione europea. Il ritardo delle scelte comuni in materia di competitività e la cultura iper-regolatoria sono ostacoli da rimuovere al più presto per salvaguardare una preziosa e insostituibile infrastruttura tecnologica per il nostro Paese. Investire in ricerca chimica significa spingere la competitività sui mercati esteri e generare ampie ricadute. Si pensi che investimenti aggiuntivi per 400 milioni di euro nella chimica ad alta specialità generano 1,6 miliardi di euro di ricadute nel settore e ben 6 miliardi di euro di effetto spillover, sull’intera economia italiana».

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