Storie Web sabato, Dicembre 14
Notiziario

Potrebbe spiegare cos’è la “guerra cognitiva” e in che modo si differenzia dalle forme tradizionali di conflitto?
Non si differenzia, ma è complementare all’attività militare cinetica, da sempre. Il generale prussiano Carl von Clausewitz diceva che nel conflitto i mezzi sono inseparabili dalla volontà, perché la guerra è uno scontro di volontà. Dunque, interferire sulla volontà dell’avversario costituisce una chiave fondamentale per il successo. La guerra cognitiva è l’uso dell’inganno per condizionare la volontà del nemico. Oggi la chiamiamo “guerra ibrida”, perché è come se venissero incrociate specie o razze diverse per ottenerne una nuova, ma in realtà l’idea di manipolare in guerra la volontà del nemico è vecchia quanto la guerra stessa. Omero narra di come gli Achei costruirono un cavallo di legno per ingannare le difese dei Troiani ed entrare nella loro città fortificata. Allo stesso modo gli Alleati vinsero la Seconda Guerra Mondiale grazie agli inganni dell’operazione “fortitude”, con cui depistarono Hitler, facendogli credere che lo sbarco in Europa avrebbe avuto luogo in Norvegia e sul passo di Calais, in Francia, anziché sulle spiagge della Normandia, dove avvenne realmente.

La vittoria nella Seconda Guerra è stata conquistata con la guerra cognitiva?
Non solo, perché poi sono morti sul campo milioni di soldati, ma le operazioni di depistaggio furono determinanti per il successo degli Alleati, che misero in scena un teatro straordinario di false notizie e dissimulazioni su larga scala. Per ingannare il servizio segreto tedesco i media britannici trasmettevano falsi risultati di calcio e annunci di nozze da parte di truppe dell’inesistente 4° armata britannica, simularono la presenza di armate fittizie, con tanto hangar di aeroplani di legno e carri armati gonfiabili, predisposti per le foto degli aerei spia tedeschi sulle coste meridionali britanniche, gli aerei della RAF lanciarono paracadutisti fantoccio a est ed a ovest della Normandia e l’agente doppio Joan Pujol Garcìa, nome in codice Garbo, trasmise i dettagli del piano d’invasione alleato, facendo credere ai tedeschi che l’invasione in Normandia fosse solo un diversivo. Ingannarono persino i partigiani della resistenza francese, con false informazioni, che gli stessi rivelarono ai tedeschi sotto tortura, quando vennero catturati. Lo sbarco, e quindi la liberazione dell’Europa dal nazismo, riuscì perché i tedeschi credettero nell’inganno.

Quali sono gli obiettivi principali della Cina nella conduzione della guerra cognitiva? 
“L’inganno è il Tao della guerra”, scrisse ben 2.500 anni fa il generale cinese Sun Tzu nel celebre trattato “sull’Arte della Guerra”. Il pensiero strategico cinese si basa da sempre sull’astuzia e sull’uso dell’inganno perché, secondo Sun Tzu, “il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento, ma sottomettere il nemico senza combattere”. “I 36 stratagemmi” è un antico trattato di strategia militare cinese, che risale presumibilmente alla Dinastia Ming, e che descrive tutta una serie di astuzie da utilizzare in guerra, in politica e nella vita sociale. Il numero 36 non è casuale, perché è sei volte sei. Nell’I Ching, l’oracolo cinese che probabilmente è il libro più antico dell’umanità, il 6 è il numero dello Yin, associato all’oscurità. Gli stratagemmi per ingannare il nemico sono i metodi oscuri della strategia militare. Nel 1996 due colonelli dell’aeronautica militare cinese, Qiao Liang e Wang Xiangsui, pubblicarono un trattato militare sull’arte della guerra asimmetrica, tra terrorismo e globalizzazione, che intitolarono “Guerra senza limiti”, e che ridefinisce in chiave contemporanea questa antichissima tradizione culturale. 

In che cosa si differenziano la guerra cognitiva cinese e quella russa?
La guerra cognitiva cinese non si differenzia da quella russa nel metodo, nella tattica e nella tecnica, ma nelle fondamenta culturali su cui poggia. Dal punto di vista pratico le operazioni psicologiche russe forse son un po’ più dirette ed aggressive di quelle cinesi, ma nella sostanza non vedo grandi differenze operative. La differenza principale sta nel pensiero strategico alla base della guerra cognitiva, perché quello Russo è più europeo che asiatico, e quindi più lineare, euclideo, come il gioco degli scacchi, mentre quello orientale è circolare, aggira gli ostacoli e riempie gli spazi vuoti come l’acqua, si basa sull’accerchiamento, come il gioco strategico da tavolo WeiQi, che è vecchio quanto l’Arte della guerra di Sun Tzu.

Quali sono le strategie e le tecnologie principali utilizzate dalla Cina nella guerra cognitiva?
Pensare al WeiQi aiuta a comprendere proprio questo aspetto, perché si tratta di un gioco complesso e sfiancante, tanto che, ad oggi, nessun sistema computerizzato è in grado di giocarlo in modo soddisfacente, a differenza degli scacchi. La finalità strategica di questi ultimi è l’annientamento dell’esercito avversario e la conquista del campo centrale, determinato dalla paralisi del re nella mossa dello “scacco matto”, con una dinamica medioevale che evoca soldati, alfieri, cavalieri, torri, regine e re. È una rappresentazione vestfaliana di eserciti e di stati che reclamano il loro spazio territoriale, per cui la vittoria dev’essere totale, come la sconfitta. Nel Wei-Qi si tende invece a minimizzare strategicamente le mosse, e non si punta all’annientamento o alla conquista esibita, ma all’accerchiamento dell’avversario. Il goban è una tavola da gioco a griglia, articolata in 19 linee orizzontali e verticali, che può sembrare una scacchiera, ma offre molte più possibilità di movimento; la vittoria finale non è determinata dalla capitolazione dell’avversario, ma dalla colonizzazione dello spazio complessivo, calcolandone il punteggio, senza necessariamente puntare alla consunzione totale dello sfidante. Rappresenta bene il pensiero strategico cinese, perché persegue il potere adottando tattiche meno assolute e più sfumate rispetto agli scacchi, più lunghe nella durata ed ambigue negli esiti. 

Quali sono i principali obiettivi della guerra cognitiva cinese?
L’obiettivo è sempre il potere politico, ma invece di colpirlo direttamente può essere più efficace aggirarlo ed attaccarlo indirettamente, colpendo l’opinione pubblica, da cui il potere politico dipende, nelle democrazie occidentali. In Occidente se l’opinione pubblica si convince di qualcosa, la classe politica ne deve tenere necessariamente conto. Dal punto di vista cinese la democrazia liberale è il punto debole dell’Occidente, perché la sovranità appartiene al popolo, come recita la nostra Costituzione, ed il popolo è incapace di pensieri strategici di grande respiro. La sovranità popolare, che per noi è la forza della democrazia, di cui siamo orgogliosi, per i cinesi è la nostra debolezza. Il fatto che il potere politico non sia controllato da una ristretta élite, esclusiva e ben selezionata, secondo il loro punto di vista, costringe la politica nel recinto della convenienza di breve periodo, rendendola incapace di visione e di prospettive di lungo termine, che richiedono la capacità di programmare obiettivi lontani e differiti nel tempo. 

E come manipolano l’opinione pubblica per condizionare il potere politico democratico?
In due modi: con i contenuti che formano opinioni e con quelli che disgregano e basta. Paradossalmente il successo massimo della guerra cognitiva non è modificare il pensiero del nemico, ma distruggerlo. Per comprendere questa strategia basta guardare alla differenza tra i contenuti veicolati da TikTok in Occidente e quelli veicolati in Cina. Il social network cinese, che è controllato direttamente dalla società ByteDance, e indirettamente dall’Esercito di liberazione popolare, quindi dal Partito Comunista e dal governo cinese, non funziona come nelle altre parti del mondo. Perché? È ovvio, perché il Partito Comunista non vuole che il popolo cinese sia sottoposto agli stessi stimoli neuronali che hanno pensato per noi occidentali. In Cina l’algoritmo non premia persone che fanno stupidi balletti o giocano con il cane, ma tende a diffondere i contenuti che le autorità cinesi vogliono che i cittadini, specialmente i più giovani, osservino. Il ruolo di TikTok in Cina è formare la coscienza delle giovani generazioni, gli utenti cinesi sono spinti a pensare che studiare ingegneria sia cool, mentre la versione occidentale di TikTok contribuisce ad abbassare il livello culturale degli utenti, viralizzando contenuti ipnotici di pochi secondi, senza alcun valore sociale, utili solamente a rimbecillire chi li guarda di continuo. 

Quindi la tattica della guerra cognitiva si basa sulla manipolazione dell’opinione pubblica per mezzo dei social network?
In realtà si tratta più che altro di una specie di acceleratore, o di catalizzatore, che sviluppa il lato peggiore di noi. In Oriente il nostro individualismo e il nostro liberalismo sono visti come forme di narcisismo egoista, generatori di vizi, contrari alla coesione sociale. Il confucianesimo imprigiona l’azione dell’uomo all’interno della società, proprio per addomesticare le sue passioni, e correggerne i naturali difetti. Senza la guida ferma dello Stato sulla società, secondo i cinesi prevarrebbe l’egoismo individualistico ed il popolo non avrebbe progetti collettivi, perché ciascuno guarderebbe solamente al proprio interesse immediato. Il popolo, secondo questa visione oligarchica, non ha le conoscenze e le competenze necessarie all’arte del governo, in una prospettiva di lungo periodo. La primazia del potere burocratico risale ai tempi della Cina imperiale, quando il mongolo Kublai Khan, il nipote di Gengis Khan che unificò la Cina, fu messo a sedere sul trono imperiale, come racconta Marco Polo, ma non poteva governare realmente l’impero, perché il potere reale restava nelle mani dei mandarini, che conoscevano e padroneggiavano la complessa macchina burocratica imperiale. 

Questo è vero anche nella Cina contemporanea, che si definisce una Repubblica Popolare?
Certo! Dopo la Lunga Marcia e la rivoluzione maoista la Cina ha sostituito l’imperatore con il Partito Comunista, ma l’architettura e la grammatica del potere imperiale sono rimaste più e meno le stesse. Nella logica imperialista la guerra cognitiva è un’arma fondamentale per sedurre, indebolire e rendere subalterno e tributario chiunque stia attorno al Celeste Impero. È un mix di soft e sharp power, che attira e sottomette chi viene conquistato dal sistema economico governato da Pechino, con la promessa di grandi opportunità future. Non serve occupare con i carri armati un territorio per conquistarlo, basta accerchiarlo economicamente e convincerlo che è nel suo interesse sottomettersi: questo è il punto di forza della strategia cinese, che integra infowarfare, cyberwarfare e guerra economica in una visione olistica, totale, senza limiti. 

Quali sono i rischi e le implicazioni della guerra cognitiva cinese per le democrazie occidentali?
La situazione a me pare molto chiara: la guerra psicologica è finalizzata ad indebolire l’Occidente e conquistare spazio nella competizione geopolitica globale, scalzando la potenza dominante, che oggi sono gli Stati Uniti d’America. Dobbiamo ammettere che si tratta di un’ambizione legittima, per una grande potenza economica che rappresenta un miliardo e duecento milioni di persone, anche se a noi non piace, perché confligge con i nostri interessi, e quindi dobbiamo difenderci. Numericamente i cinesi sono più degli Europei e Nordamericani messi insieme, ma sanno che per aumentare il loro peso politico nel nuovo Ordine Mondiale hanno bisogno di molti alleati subalterni. Come nel gioco WeiQi, la Cina occupa gli spazi vuoti e costruisce una strategia di accerchiamento, investe per produrre convenienze e dipendenze di Paesi più poveri, costruisce infrastrutture in Asia, in Africa e in America Latina e manipola l’opinione pubblica con la guerra psicologica. Questa è la minaccia, i rischi dipendono dalle misure che vengono adottate per limitarla. Se non si comprende la minaccia, o non si fa nulla per limitarla, i rischi sono molto elevati. Se invece la si affronta con lucidità e consapevolezza, credo che il rischio di cadere nella trappola non sia molto alto. 

Tra gli studiosi di strategia e d’intelligence si parla di un “salto di qualità” della guerra cognitiva, cinese: la guerra cognitiva algoritmica. Cos’è?
È l’introduzione nella guerra cognitiva di tecnologie nuove: del supercalcolo e degli algoritmi analitici di nuova generazione per analizzare i big data, dell’intelligenza artificiale generativa per produrre contenuti in modo mirato e massivo. Si tratta di un cambiamento dirompente: più che un salto di qualità, direi che è una nuova frontiera, che affida alle macchine il compito di produrre disinformazione in maniera più efficace e potente che mai. Oggi è possibile generare automaticamente contenuti digitali falsi, ma verosimili e convincenti, introdurli in rete a sciami, ed indirizzarli in modo mirato su target analizzati sulla base dei loro dati. I feedback sui like e le condivisioni dei contenuti postati insegnano all’AI come migliorare quelli che produce, migliorando il potere di convinzione delle macchine. Nel cyberspazio, che è un mondo dominato dagli algoritmi, il contenuto più convincente vince. 

Come sfrutta la Cina i social media e le piattaforme online per diffondere propaganda e disinformazione?
In Romania le elezioni sono state annullate dalla Corte Costituzionale perché, secondo i documenti dei servizi segreti, a sostegno del candidato sovranista filorusso Georgescu ci sarebbe stato un “attore statale”, cioè la Russia, che avrebbe condizionato le elezioni con brogli ed irregolarità. I documenti declassificati rivelano una vasta operazione d’influenza elettorale orchestrata attraverso i social media, in particolare da TikTok. L’alleanza tra Russia e Cina si concretizza in questo, i dati raccolti da milioni di account permettono di profilare gli utenti e d’indirizzare contenuti manipolativi personalizzati. Non si tratta di qualcosa che si potrebbe fare in teoria, ma della guerra cognitiva che avviene nella realtà. Prima ce ne rendiamo conto e meglio possiamo proteggerci, perché molto presto anche noi dovremo fare i conti con questa nuova arma. Non esiste, nella storia dell’umanità, un’arma che sia stata inventata e non sia stata impiegata. Non vedo la ragione per cui non dovrebbe accadere anche questa volta.

In Italia quanto siamo consapevoli, a livello di opinione pubblica, di questa guerra ibrida? Quali potrebbero essere le contromisure?
Non so rispondere, ma temo che lo siamo pochissimo. Gli unici che non sanno proprio nulla dell’acqua sono i pesci, che vi sono immersi. Noi siamo immersi nella società della disinformazione, ed ogni giorno siamo bersagliati da stimoli emotivi ingannevoli, per produrre in noi sentimenti di sfiducia, di rabbia, di rancore sociale, di odio. Senza dubbio questi sentimenti sono in aumento, e la disinformazione ne è una causa. Ma non ce ne rendiamo conto. Mark Twain diceva che è più facile ingannare la gente che convincerla che è stata ingannata. La manipolazione funziona bene quando la vittima che viene manipolata non crede di esserlo, ma pensa di aver maturato autonomamente e liberamente le proprie idee e convinzioni. Rendere consapevoli le persone del fatto che ci sono paesi stranieri che investono tante risorse per condizionare quello che pensiamo, rendere quindi palese e manifesta la minaccia, significa ridurre il rischio. Per questo la mia opinione è che l’educazione sia la miglior contromisura. Insegnare alle persone come funzionano le cose, come possiamo essere facilmente manipolati e portati a credere ciò che serve ad altri, produce già degli anticorpi.

*Professore a contratto all’Università di Bologna dal 2022, svolge le sue ricerche nell’ambito degli studi strategici relativi alla sicurezza nazionale. Gli interessi di ricerca sono rivolti in particolare alle metodologie e tecniche di intelligence, alla prevenzione ed al contrasto del terrorismo, alle Psy Ops nell’ambito della guerra dell’informazione ed alla sicurezza nel dominio cyber. 

Formazione

Laureato in scienze politiche presso l’Università di Bologna 110/110, ha conseguito poi il titolo al Corso IASD (alta formazione e professionalizzazione della dirigenza militare e civile della Difesa e del Corpo della Guardia di Finanza, di Ufficiali di Paesi Alleati), presso il Centro di Alti Studi della Difesa; Corso Civilian Aspects of Crisis Management , certificato presso l’European Security and Defence College; il Master II livello in Strategia globale e sicurezza, Suiss Torino (SUISS – Struttura Didattica Speciale interdipartimentale in Scienze strategiche – Scuola di Applicazione d’Esercito italiano – università di Torino), 110/110 e lode; il Corso di perfezionamento in intelligence e sicurezza nazionale, CSSII, Università di Firenze.

Attività didattica

Dal 2006 al 2015 ha svolto con continuità attività di docenza come titolare di vari insegnamenti presso la facoltà di sociologia, dipartimento di scienze della comunicazione, studi umanistici e internazionali: storia, cultura, lingua, letterature, arti, media, Università Carlo Bo di Urbino.

2015- 2022 ha tenuto lezioni in materia di intelligence e sicurezza nazionale presso, UNICAL, Link Campus University, SIOI, Lumsa, Unifi, Scuala Analisti di intelligence delle FF.AA).

Premi e riconoscimenti

2021 – Premio letterario Francesco Cossiga, per il manuale di intelligence, nell’ambito del convegno promossa da Federsicurezza “Il disordine internazionale a 20 anni dall’11 settembre”. I edizione, Sorrento

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