Che il governo non sappia gestire il dissenso, che scambi una contestazione per censura, che chieda solidarietà dai suoi avversari quando si confronta con i normali processi democratici, mentre a loro non la concede mai, è ormai sotto gli occhi di tutti. Agli Stati generali della natalità, la ministra Eugenia Roccella è stata contestata da studenti e studentesse, voluti a gran voce dall’organizzazione del festival senza prevedere che potessero esprimere idee diverse. Quando la ministra ha cominciato a parlare, alcune persone nel pubblico si sono alzate e hanno urlato lo slogan femminista: “Sul mio corpo decido io” e “Vergogna”. La ministra ha deciso di andarsene, per poi scrivere un post su Facebook in cui ha detto di aver subito un “atto di censura” e chiedendo la solidarietà degli “intellettuali di sinistra”.

Non è la prima volta che Roccella confonde il dissenso con la censura: lo scorso anno, diverse attiviste di Non Una Di Meno e altre organizzazioni contestarono la ministra al Salone del Libro di Torino, impedendole di presentare il suo libro. Solo pochi mesi prima, Roccella aveva detto in un’intervista televisiva che l’aborto “purtroppo” fa parte della libertà delle donne. Per quella contestazione, 29 persone furono denunciate per violenza privata dall’assessore del Piemonte di Fratelli d’Italia Maurizio Marrone (il fatto era avvenuto allo stand della regione), un reato che può prevedere fino a quattro anni di carcere. Le denunce sono state tutte archiviate il mese scorso.

Come allora, anche stavolta gli esponenti del governo hanno deciso di ribaltare i rapporti di forza, fingendo che contestati e contestatori siano sullo stesso piano e dispongano dello stesso potere, adoperando parole come “violenza” e “squadrismo”. Meloni si è spinta ancora oltre, alludendo al fatto che Roccella sia stata zittita perché donna, non perché ministra della Repubblica che dal giorno del suo insediamento si è spesa contro il diritto di aborto, portando avanti una retorica colpevolizzante quando non violenta.

Leggi altro di questo autore

Roccella, che nonostante la “censura” oggi ha potuto esprimere il suo pensiero su tutti i quotidiani e le televisioni italiane, ha ricordato che per le femministe di oggi “ci sarebbe bisogno di qualche approfondimento da un punto di vista della sorellanza, della solidarietà tra donne”. Nonostante il suo passato nel movimento femminista, da portavoce del Movimento di liberazione della donna, Roccella sembra però aver dimenticato uno dei suoi principi fondanti: la sorellanza non è dovuta, né incondizionata, ma è una scelta politica. Si può esprimere sorellanza, da femministe, nei confronti di chi dice che l’aborto è “il lato oscuro della maternità”, che l’aborto non è un diritto, di una persona attiva in associazioni antiabortiste, anti-LGBTQ+ e anti-gender che hanno l’obiettivo di erodere i diritti delle donne?

Il femminismo non è una forma di sostegno incondizionato alle donne per il solo fatto di essere donne. Se così fosse, ricadrebbe nella più antica favola patriarcale, ovvero che le donne formano un gruppo omogeneo e indistinto accumunato solo dal proprio sesso, senza inclinazioni e desideri individuali. Il femminismo al contrario riconosce le differenze tra donne e riconosce anche che alcune possono essere nemiche delle altre donne ed esercitare su di loro il potere, come quello di denunciarti per violenza privata se osi contestarle quando loro hanno tutte le garanzie e i privilegi dell’essere rappresentante delle istituzioni, e tu no.

A Roccella non è stata tolta la parola dalle femministe perché è donna. Anzi, non le è stata tolta la parola e basta: è lei che se n’è andata dal palco. Ma in ogni caso, sarebbe assurdo pensare che le donne non possano dissentire dalle altre donne per spirito di solidarietà, specie quando c’è in gioco una forte asimmetria di potere. Il fatto che per secoli questo potere sia stato esercitato dagli uomini non implica che allora le donne si debbano far andare bene qualsiasi decisione politica purché presa da una femmina.

Questo governo sta attaccando frontalmente i diritti riproduttivi, tra l’altro con un rimpallo di responsabilità che non si è mai visto prima: nessuno tocca la 194, non è di loro competenza (come ha tenuto a ricordare Roccella, dicendo di prendersela col ministro della Sanità), loro si limitano soltanto ad applicare la legge. Eppure ogni giorno le associazioni antiabortiste si accaparrano un pezzetto di sanità pubblica e di legittimità politica, mettendo sempre più voce nelle scelte delle donne. Donne che per il governo dovrebbero stare a guardare, solo perché a decidere sul loro destino è una del loro stesso genere. Non solo il femminismo non funziona così, ma nemmeno la democrazia.

Immagine

Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.

Condividere.
Exit mobile version