Di qui al 2030 nelle strategie di gestione delle risorse umane le politiche per attirare e trattenere la Generazione Z – ossia quella a cui appartiene chi è nato tra gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 – dovranno pesare sempre di più. Per la semplice ragione che la Gen Z rappresenterà un terzo delle persone nelle aziende a livello globale ed è una generazione che ha portato con forza una grande discontinuità per le aspettative alte su temi come il benessere, la soddisfazione lavorativa, la fiducia.

Il calo della motivazione

All’Annual Conference di ManpowerGroup Italia, intitolata “The Exchange – Disegniamo insieme il futuro del lavoro”, sono emersi molti temi che caratterizzano la GenZ come la propensione a lasciare il posto di lavoro entro 6 mesi (che tocca il 49% in Italia, contro il 47% a livello globale), che va però di pari passo con la ricerca di stabilità del posto di lavoro, purché sia quello giusto (che tocca quasi il 70%). A rappresentare un campanello d’allarme è però un altro dato e cioè quello relativo all’engagement che, negli ultimi cinque anni, è diminuito passando dal 40% al 35%. Per molte ragioni che vanno dalle opportunità di apprendimento e di sviluppo di nuove competenze, alla scarsa connessione alla mission aziendale, alle poche possibilità di crescita professionale e di far valere la propria opinione. A completare il ritratto della ricerca di Manpowergroup c’è l’elevato livello di stress nelle attività lavorative quotidiane che riguarda quasi il 57%, contro il 44% dei “baby boomer” italiani.

La nuova flessibilità necessaria

David Herranz, Regional President of Southern Europe di ManpowerGroup, sostiene che «la Generazione Z ha ben chiaro cosa vuole in termini di valori, aspettative, carriera ed equilibrio vita-lavoro e come ogni generazione lo esprime con un suo linguaggio. Le aziende che vogliono attrarre i migliori talenti devono dimostrarsi flessibili per capirli al meglio». L’amministratrice delegata di Manpowergroup in Italia, Anna Gionfriddo, aggiunge che «abbiamo imparato che l’attenzione all’ascolto, all’engagement dei propri talenti da parte delle organizzazioni è fondamentale. Nella We Economy che si sta sviluppando le aziende del futuro dovranno essere ecodigitali, umane, personalizzate, adattabili e plurali». Non sorprende quindi che le attività di recruiting (28%) e di upskilling e reskilling (28%) rivolte alla Gen Z rientrano tra le priorità delle aziende a livello globale, insieme alla proposta di soluzioni per migliorare il benessere, con orari flessibili, stipendi più alti e percorsi di crescita professionale.

Il contesto in cui avvengono queste riflessioni, come ha spiegato Paolo Magri, presidente del Comitato Scientifico dell’ISPI, intervenendo alla conferenza annuale di Manpowergroup è caratterizzato «da incertezza e caos, iniziati l’11 settembre 2001 e proseguiti con crisi economiche, pandemie, declino delle vecchie potenze e ascesa di nuove. Nell’ultimo anno l’incertezza è accelerata: lotte commerciali, dazi, accordi unilaterali sulle crisi internazionali, nuove alleanze e nuove inimicizie fra Paesi: si è creata un’incertezza di fondo, con ricadute sui mercati, sull’economia internazionale e sui rapporti fra Stati. Come deve reagire l’Europa? Riprendo le parole del presidente Sergio Mattarella di alcuni giorni fa: l’Europa deve essere compatta, serena e determinata. Ed evitiamo la paralisi: non cediamo né al pessimismo disperato né all’ottimismo ingenuo, restiamo vigili e consapevoli della nostra forza». In questo contesto di incertezza, Carlo Cottarelli, Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, ha rilevato che «negli ultimi 10 anni oltre 30mila giovani italiani sotto i 35 anni sono andati via dall’Italia per lavorare all’estero. Il perché è presto detto: dal 1999 al 2019 l’Italia è stata purtroppo uno degli ultimi paesi al mondo per crescita del reddito procapite in termini di potere d’acquisto. Grazie all’afflusso di risorse europee e agli investimenti pubblici del post-pandemia la crescita e l’occupazione sono migliorate, ma sono stati creati soprattutto posti di lavoro a basso valore aggiunto e poco pagati nella ristorazione, nel commercio, nelle costruzioni. Per un deciso aumento dei posti di lavoro specializzati, della produttività e degli stipendi occorre intervenire su quattro fronti: abbassare la pressione fiscale, abbassare il costo dell’energia, snellire la burocrazia e ridurre la durata dei processi civili. In Italia c’è un problema generazionale: i giovani sono pochi e soprattutto vanno a votare poco e quindi le loro esigenze non vengono prese in considerazione».

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