Per molto tempo sono stati l’unico canale di vendita e di contatto fra marchi e clienti. Poi, minati dalla proliferazione dei negozi monomarca e dall’evoluzione in senso commerciale del web, ma non solo, le boutique multimarca hanno iniziato a soffrire, fino a farne temere in certi casi l’estinzione. Eppure, sono una peculiarità dell’Italia: nessun Paese al mondo ne ha così tanti e così capillarmente distribuiti come noi, in grandi città come in piccoli centri; negozi a volte con una storia secolare, pensati come laboratori di ricerca, finanche sperimentazione, luoghi di scoperta e contatto personale, fonti di contributo in termini economici e di bellezza ai loro territori con la sofisticata pregevolezza dei loro spazi.
E proprio in epoca di diffusa luxury fatigue – quel mix di iperofferta dei brand, diluizione dell’esclusività e prezzi considerati ormai troppo alti, che ha generato il calo degli acquisti di lusso – la formula del multimarca potrebbe trovare una nuova energia: è quanto è emerso dal convegno “Ne(x)t Retail – Il futuro del multibrand tra continuità, trasformazione e Made in Italy” promosso a Roma nella sede del ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) lo scorso martedì da Camera Buyer Italia (l’associazione, fondata a Milano 25 anni fa, che coinvolge oltre 600 delle migliori boutique multimarca in Italia e all’estero) in collaborazione con il ministero stesso e con il patrocinio della Camera nazionale della moda italiana, che rappresenta i grandi marchi della nostra filiera.
Le nuove potenzialità del canale multimarca sono state identificate dal report “Trends in Luxury Fashion: Consumer Survey 2025”, presentato da Erika Andreetta, partner Pwc Italy e Emea fashion&luxury leader: fra i risultati più interessanti, quello che il 71% dei rispondenti nel corso della sua vita ha acquistato articoli di lusso in boutique italiane multimarca, sia fisiche che online, attratto soprattutto (nel 43% dei casi) dalla loro selezione esclusiva di articoli, difficilmente reperibile altrove. I multimarca sono preferiti ai monomarca anche per il loro migliore servizio clienti e per l’assistenza post vendita. La clientela, tuttavia, non è un blocco uniforme: ogni categoria anagrafica esprime precise preferenze e aspettative, che i negozi sono chiamati a riconoscere e soddisfare. Innanzitutto, un dato quasi inaspettato è che sono le generazioni più giovani, i Millennials (30-45 anni) e la Gen Z (28-23 anni), a preferire i multimarca. Tuttavia, sono anche quelle più attente al prezzo, che più amano i prodotti second hand e la possibilità di noleggiarli, e che usano canali di conoscenza e comunicazione digitali. La ricerca Pwc ha anche proposto un piano strategico per i multimarca, invitandoli a puntare sull’esclusività e la scoperta di brand emergenti, sulla personalizzazione, su format di eventi diversi in base alle generazioni (per esempio, workshop/creator night per la Gen Z e talk sull’artigianalità per la Gen X, fra i 45 e i 60 anni).
A credere nelle potenzialità dei multimarca è anche Brunello Cucinelli, che ha ricordato come fu l’intuito di Barney Pressman, fondatore di Barneys, che lo conobbe negli anni 80 come piccolo produttore a Pitti, ad aprirgli le porte degli Stati Uniti, ancora oggi il primo mercato per l’azienda umbra: «Il multibrand è il vero guardiano del marchio – ha detto intervenendo al convegno –, poiché i buyer capiscono perfettamente e spesso in anticipo se un marchio funziona. Ho molta fiducia nel loro successo, ma si deve prestare più attenzione alla coerenza con la propria presenza e distribuzione online».
Di multimarca come «luoghi del commercio etico e di intelligenza emozionale, nuovo driver degli acquisti» ha parlato Alfonso Dolce, ceo di Dolce&Gabbana, e Antonio de Matteis, ceo Kiton, ha ribadito la necessità di «difendere la qualità del servizio, la qualità delle relazioni, la vera forza dei multimarca».