Storie Web domenica, Luglio 20
Notiziario

Un settore che vale 10,6 miliardi di fatturato, il 4,1% della produzione nazionale, realizzato da oltre 144 mila imprese (12,7% di quelle nazionali), in prevalenza micro e piccole. E’ la filiera dell’agrifood in Sicilia considerata un importante motore di sviluppo per l’economia dell’isola: se si considera la filiera estesa, che include anche la distribuzione dei prodotti agroalimentari e il canale Ho.Re.Ca., arriva a oltre 186 mila imprese, a quasi il 40% dell’economia dell’isola, contro una media di poco superiore al 27% per l’Italia. Ma con non pochi fattori di debolezza. Rilevante per esempio il tema dimensionale, soprattutto nella parte di trasformazione industriale: le imprese siciliane mostrano infatti una dimensione media, rispettivamente per alimentare e bevande, di 0,8 e 2,4 milioni di euro di fatturato, contro una dimensione media nazionale tre volte superiore (3,4 e 6,8 milioni).

Lo studio di Prometeia

Un tema strategico, dunque, secondo i dati contenuti in uno studio di Prometeia presentato a Ragusa nell’ambito del Forum delle economie organizzato da UniCredit in collaborazione con la Camera di Commercio del Sud Est Sicilia e con Cna Sicilia: «La filiera agrifood contribuisce in modo significativo all’identità e alla riconoscibilità del made in Sicily nel mondo – dice Salvatore Malandrino, Regional Manager Sicilia di UniCredit -. In considerazione di questo, e guardando alle peculiarità del settore, UniCredit è fortemente impegnata a supportare queste realtà oltre che dal punto di vista finanziario attraverso un modello di servizio e un’offerta pensati ad hoc per le specificità del business».

La fragilità della filiera industriale

Lo studio di Prometeia mette in luce una certa fragilità della filiera siciliana dell’agrifood e nel contempo prova a indicare la via per consolidare un settore che è ritenuto di assoluta eccellenza. Un tema è quello del rafforzamento industriale in un tessuto produttivo molto frammentato: «le fasi industriali risultano molto sottodimensionate (solamente il 3,2% della produzione nazionale) rispetto alla disponibilità di materie prime del territorio. Un’evidenza che emerge con forza anche dal peso delle fasi industriali sulla filiera allargata: solamente il 16,7% dei ricavi complessivi, contro una media del 26,2% per l’Italia» spiegano gli esperti di Prometeia.

Il sottodimensionamento un freno alla valorizzazione

Un sottodimensionamento della componente industriale che è un chiaro limite per la valorizzazione e commercializzazione delle tante eccellenze delle terre e dei mari siciliani vanificando in parte il lavoro fatto finora: «Il comparto primario ha infatti molto investito nella riconoscibilità e promozione dei propri prodotti, con 36 Indicazioni geografiche protette e oltre 100 altre certificazioni a carattere agricolo-territoriale (presidi, strade dei sapori, e così via), garantendosi una riconoscibilità sui mercati e la possibilità di sostenere valore aggiunto, prezzi e margini (ancora inferiori a quelli delle altre regioni, ma con un percorso di crescita costante)» si legge nel rapporto.

Ed è chiaro che il ruolo del comparto industriale è di primo piano in un settore dove le logiche di filiera sono forti e i capifila hanno anche il compito di guidare le trasformazioni e gli investimenti necessari allo sviluppo. «Investimenti che non possono prescindere dalla difesa del territorio, esposto agli effetti dei cambiamenti climatici – dicono gli esperti -: negli ultimi dieci anni, la Sicilia è stata la seconda regione italiana più colpita da eventi climatici estremi».

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