Secondo Jassy, Amazon ha oltre mille sistemi IA già operativi o in fase di test, usati per creare contenuti pubblicitari personalizzati, ottimizzare la logistica, assistere clienti via chat e voce, scrivere codice, riassumere dati, generare analisi predittive e supportare i team interni con compiti ripetitivi.
«Gli agenti ti permettono di dire cosa vuoi, in linguaggio naturale, e fanno il lavoro al posto tuo. Faranno ricerca, scriveranno, organizzeranno, segnaleranno anomalie. E non parliamo di centinaia. Parliamo di miliardi di agenti intelligenti, in ogni settore e in ogni azienda», ha scritto il Ceo.
Da chi viene il colpo?
La dichiarazione di Jassy rompe un tabù nel mondo tech. Finora, i giganti della tecnologia hanno cercato di non dire chiaramente che l’IA comporta tagli. Si è sempre parlato di “efficienza”, “riqualificazione” e “automazione come supporto”. Ma adesso la maschera è caduta. E non è solo Amazon: Shopify chiede ai dipendenti di giustificare perché non usano l’IA prima di chiedere nuove assunzioni; Klarna ha ridotto del 40% la forza lavoro anche grazie all’adozione dell’intelligenza artificiale; Microsoft ha tagliato centinaia di ingegneri software nel 2024; Meta e Google stanno riorganizzando team interi, spostando funzioni umane verso modelli linguistici sempre più avanzati.
Non tutti i lavori spariranno, ma tutti cambieranno
A onor del vero, Jassy non parla solo di licenziamenti, ma anche di transizione. L’IA sostituirà alcune mansioni, ma ne creerà di nuove: prompt designer, formatori di modelli linguistici, analisti di bias, supervisori etici, ingegneri dell’automazione.
Il problema? Non tutti potranno riconvertirsi in tempo. E chi è rimasto indietro sul piano digitale rischia grosso. Per questo il Ceo ha invitato i dipendenti a «diventare curiosi dell’IA», frequentare corsi interni, partecipare a workshop, sperimentare strumenti e prendere parte ai brainstorming sulle nuove soluzioni. Ma non è solo una questione di formazione individuale. È anche una sfida sociale e politica.