Gli imperi economici contemporanei si fondano sui dati. Google e Meta sono classici esempi. Ma anche, in modi diversi, Tesla, Caterpillar, o General Electric. La digitalizzazione moltiplica la disponibilità di dati che rende possibile l’avvento dell’intelligenza artificiale, che a sua volta caratterizza la nuova fase evolutiva della digitalizzazione. Il tutto avviene grazie alla crescita delle capacità di calcolo di data center sempre più voraci di energia, nel quadro di una concentrazione del potere economico senza precedenti: fondata, appunto, sul controllo di enormi quantità di dati.

Perché i dati sono strategici?

Ma che cosa sono, infine, questi dati? Perché sono una risorsa tanto strategica, pur non essendo di per sé scarsa? In che modo moltiplicano il valore delle aziende che li possiedono? E quali sono le regole del sistema che li produce, conserva, valorizza? Cristina Alaimo dell’École Supérieure des Sciences Economiques et Commerciales e Jannis Kallinicos, della Luiss, affrontano queste questioni nel libro «Data Rules. Reinventing the Market Economy» (Mit Press 2024). E arrivano a teorizzare una nuova evoluzione delle strutture essenziali del mercato.

Elementi di conoscenza

«Quando i fatti diventano dati, in formato digitale, si separano dal contesto nel quale sono accaduti» dice a Nòva Kallinicos. «Diventano elementi di una conoscenza in divenire che trasforma l’economia, la società, la cultura». L’economia della conoscenza ha bisogno dell’infrastruttura digitale e questa è essenzialmente un sistema di gestione di dati. Che nascono dai fatti ma, nel momento in cui sono registrati in digitale, assumono una sostanza diversa. Nella ricostruzione di Kallinicos e Alaimo, i dati vengono descritti come “effimeri”, “malleabili”, “editabili”, “eseguibili”, “performativi”. I fatti esistono nel loro contesto storico e sociale e lì si esauriscono, mentre i dati vivono in una dimensione astratta, operazionale, non meramente tecnologica, ma “socio-tecnica”. Nelle piattaforme che li raccolgono e con gli algoritmi che li elaborano, si vedono relazioni tra dati emergenti da contesti diversi che possono generare correlazioni, regolarità e conoscenze impossibili da riconoscere altrimenti. Il che tra l’altro abilita anche la creazione di potentissime intelligenze artificiali generative.

«I dati sono agnostici rispetto al contesto che li genera e sono vitali per lo sviluppo di macchine universali come i computer, attente al trattamento efficiente dei dati ma non al loro significato» come dice Kallinicos. «Ma non sono neutrali: nel senso che le scelte che li producono e valorizzano sono relative ai sistemi di valori, alle storie culturali e istituzionali, di coloro che hanno progettato i modi di raccoglierli e utilizzarli».

I rischi di omogeneizzazione culturale

L’analisi dei dati, dunque, non è una questione meramente statistica e tecnologica. «Non derivano soltanto dalla convergenza nel digitale di diversi settori economici. Ma certamente generano una omogeneizzazione culturale: perché qualsiasi esperienza umana può essere datificata e divenire paragonabile a qualsiasi altra».

Condividere.
Exit mobile version