Giuseppe Rossi darà l’addio al calcio con il Pepito Day il 22 marzo. A Fanpage.it l’ex attaccante ha parlato della sua carriera, raccontando tanti aneddoti, e ha parlato anche di cosa fa oggi e delle possibilità di ritorno nel mondo del calcio.
Giuseppe Rossi ha chiuso la sua carriera quasi due anni fa. Ora è arrivato il momento di dare l’addio ufficiale al calcio giocato. Non sarà un addio in realtà, ma una grande festa il ‘Pepito Day‘, in programma allo Stadio Artemio Franchi di Firenze sabato 22 marzo. Pepito Rossi ha avuto una splendida carriera vissuta in Spagna, Inghilterra e Italia. Delle sue esperienze al Manchester United, al Villarreal, al Parma e soprattutto alla Fiorentina ne ha parlato in un’intervista a Fanpage.it. Rossi ha ricordato i tempi dei Red Devils quando i ‘senatori’ di Ferguson lo hanno svezzato, senza dimenticare cosa è accaduto dopo la tripletta in Fiorentina-Juventus. Oggi Rossi vive nel New Jersey, dove fa il papà e gestisce la sua Academy.
Da ragazzino sei passato al Manchester United, guidato dal grande Sir Alex Ferguson. Hai avuto come compagni di squadra Cristiano Ronaldo e Rooney. Ma a me interessa sapere i ‘senatori’ come ti hanno trattato? Penso a Scholes, a Giggs, Neville e Keane.
Loro videro in me un ragazzo che aveva voglia, che rimaneva durante gli allenamenti per migliorarsi, lavoravo in palestra faceva domande in campo. Non facevo a modo mio, ma a modo loro. Quindi in me hanno visto questo. Non è che mi hanno tenuto per mano e mi hanno detto ‘Giuseppe seguici’. Mi hanno urlato dietro. Questo in Inghilterra è un modo d’affetto: più ti urlano dietro e più ti vogliono bene. Gary Neville mi menava sempre, mi menava sempre e mi menava sempre. Significava io ho tanto rispetto per te. Non la prendevo male. Ho visto altri comportamenti con altri giocatori giovani, che provavano a fare i fenomeni tra i grandi e li trattavano in un’altra maniera. Sentivo il loro rispetto era perché facevo le cose giuste.
Dell’esperienza con il Manchester United c’è un bell’aneddoto che ti lega a Roy Keane, è vero?
Nel suo libro c’è scritta una cosa: ‘c’è un diciassettenne che si allena con noi e non mi passa la palla, gli urlo dietro, dopo avergli urlato, lui si gira e mi guarda come a dire ‘vaffa…’. Nel libro aggiunge: ‘Stavo giusto per andare lì a tirare un paio di schiaffi ma mi sono fermato e ho pensato, questo ragazzo ha personalità, lo rispetto, questo giocatore è GR’. Quando ho letto questa cosa mi sono detto: ma ero davvero così da calciatore. La persona dentro e fuori dal campo spesso sono due persone diverse. Perché non pensavo di comportarmi così con uno come Roy Keane.
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Tu passasti al Manchester United nel 2004 assieme a Gerard Piqué. Che ricordo hai di lui e di quel periodo?
Con Piqué eravamo amici amici. Lui arrivò il 6 agosto, io il 5 agosto. Un italiano, uno spagnolo, ci siamo trovati bene insieme. Si giocava bene insieme sia in prima squadra che nelle riserve. Abbiamo fatto questo tragitto tutto insieme. Lui aveva un modo diverso di fare le cose. Lui doveva capire che non poteva fare a modo suo. Gerard è stato molto bravo ad adattarsi nel modo inglese e lo hanno accettato. Ed è stato bravo a integrarsi.

Piqué ti ha mai contattato per giocare la Kings League?
No, nella Kings League. Mi chiamò per giocare nel suo Andora Fc, penso in terza divisione in Spagna, qualche anno fa. La Kings League è dura. Giocare così con le mie ginocchia è abbastanza dura. Il calcio per me è solo divertimento, magari mi metto con gli amici fuori a fare un paio di partite e stop. Te lo ripeto, oggi il calcio per me è divertimento.
Hai giocato in Spagna e in Inghilterra, oltre che in Italia. Anche grazie alle tue espressioni hai una visione molto ampia. Qual è secondo te la differenza per i giovani tra l’Italia e gli altri paesi?
Lì c’è più pazienza nell’aspettare. Se uno vede un talento, lo deve curare, lo deve aspettare, deve avere la pazienza anche per accettare gli errori. Credo che in Italia non ci sia quella mentalità di aspettare. Pensano che dopo un errore uno è scarso. Credo che questo sia un nostro limite. C’è bisogno di più pazienza. So che il tifoso si mette lì e ti urla dietro. Bisogna fare però il bene del club e del giocatore. Poi alla fine se uno su dieci riesce a diventare il prossimo fenomeno del calcio italiano abbiamo fatto la cosa giusta. In Inghilterra e in Spagna sono più capaci di curarli. Non è detto che i loro giovani siano più forti, però hanno la mentalità di farli aspettare, di fargli fare gli errori, di continuare a metterli in campo e dargli responsabilità sempre più grandi. E dopo qualche si capisce se quel ragazzo diventa un giocatore oppure no.
Una volta hai detto che il calcio è un mondo finto, cosa intendevi?
Non è più il mio calcio di quando ero giovane, piccolo, ragazzino, fino ai 17 anni che ho esordito fino a qualche anno fa. Ora è un mondo che non pensa troppo al calcio giocato, ma a quello che succede fuori dal campo. Mi sono innamorato dello sport per quello che facevo in campo, non per il business o il personaggio fuori dal campo. Quando vedevo certe cose e capivo certe cose, vedevo l’andamento del calcio moderno mi sono sentito un estraneo. Era il momento giusto di smettere perché diventavo pazzo, potevo litigare con tutti, non potevo essere felice nel mio mondo dove mi sentivo più sicuro.
Per ora sei fuori dal mondo del calcio, pensi che rientrerai?
Devo essere bravo, capace di adattarmi, magari capire questo mondo diverso e vedere se fa per me. Io non potevo essere un calciatore in questo calcio moderno. Ora non gioco più e sono un ex calciatore devo capire se accetto questo tipo di calcio.
Beh, tu hai avuto seri infortuni e sei tornato sempre a grandi livello? Sei caduto e ti sei rialzato dopo una serie di infortuni. Puoi tranquillamente fare un piccolo sforzo, adattarti e tornare nel mondo del calcio.
La risposta è facile: il sogno era quello di fare il calciatore, era quello di essere il miglior giocatore possibile, di ripagare i sacrifici fatti dalla famiglia, che sono stati tantissimi. Queste erano le mie motivazioni, per non mollare mai. Poi la cosa principale, perché questa è qualcosa che amo. Il calcio è vita per me, lo è anche ora che non gioco più. Vita, vita, non puoi mai mollare, anche se mi ha tradito qualche volta, ma è difficile una cosa per la quale hai sacrificato tanto e dato tanto, questa è stata la forza.
Ti senti ancora con i tuoi vecchi compagni di squadra?
Nel mondo del calcio è difficile fare amicizie e tenerle per anni e anni. Qualcuno, uno o due sì, li sento ogni tanto, però ti dico la verità. Ora che c’è il Pepito Day il 22 marzo sto sentendo tanti ex compagni ed è bello sentire il loro rispetto nei miei confronti. Perché alla fine come calciatore, vuoi vincere titoli, alzare la coppa, ma la cosa più importante è il rispetto dei tuoi compagni.
Tra i tanti grandi allenatori che hai trovato sul tuo percorso c’è stato anche Claudio Ranieri. Cosa ricordi di lui?
Sono stato molto fortunato tra gli allenatori: Ranieri, Ferguson, Lippi. Quei sei mesi a Parma sono stati molto importanti per me, sono riuscito a entrare nel mondo del calcio vero, da protagonista vero, non da giovane che subentra sempre. Dal primo giorno ero titolare ed ero importante per cercare la salvezza. Sono stati mesi stupendi, ci siamo salvati grazie pure ad alcuni gol miei, ma al gruppo e a come il mister Ranieri è riuscito a formare questo gruppo, senza grandi nomi, ma con una forza di gruppo che ho visto poco in carriera.
Oggi cosa fai?
La cosa più bella che faccio è il papà, alle mie bimbe, posso dedicare il mio tempo al cento percento a fare il papà, anzi, al centodieci percento, e pure il marito, mia moglie pure è molto contenta. Poi devo trovare qualcosa per sentirmi completo. Manca sempre quella parte lì del calcio, ho aperto la GR Academy, nel New Jersey, dove alleno giovani, a livello individuale e in gruppo, alleno altre squadre, e mi diverto così.
Il 22 marzo a Firenze c’è il Pepito Day, sarà una grande festa?
Il 22 marzo al Franchi, a Firenze, alle ore 18, ci sarà una festa. Non voglio dire la partita d’addio, tra ex calciatori con cui ho giocato, con ex allenatori, una serata bellissima, per me, la mia famiglia, i tifosi e per Firenze
Ultima domanda sulla famosa tripletta in Fiorentina-Juventus. Immagino sarà successo di tutto. C’è una cosa che ricordi di quel meraviglioso delirio?
Beh, posso dirti che ho mangiato gratis per un mese. È stato bello mangiare gratis dappertutto per un mese, vivere questo amore e questo calore. C’è gente che mi chiama ancora e ricorda quella giornata. Quel 20 ottobre è una giornata che rimarrà nella storia.