La storica manager dell’ex campione del mondo di F1 ha deposto in tribunale nell’udienza del processo contro la tentata estorsione ordita da un ex guardia giurata in combutta con due complici. “Ho pensato subito che dietro ci fosse una persona che aveva lavorato con noi”.

Sabine Khem, la storica manager che da quasi 30 anni è al fianco di Schumacher e della sua famiglia.

Da quasi 30 anni Sabine Khem è l’ombra di Michael Schumacher, una delle pochissime persone che nel corso del tempo è rimasta nella ristretta cerchia dell’ex campione del mondo di F1. Oggi è toccato alla manager accomodarsi al banco dei testimoni per deporre nell’udienza del processo contro il piano-ricatto per estorcere denaro alla famiglia del tedesco minacciando di diffondere foto e altro materiale sensibile sulle condizioni attuali dell’ex pilota.

Dal 29 dicembre 2013, dal giorno dell’incidente sulle nevi a Meribel, l’ex ferrarista è sparito dalla vita pubblica: è sopravvissuto alla disgrazia ma di lui si sa pochissimo, intorno a lui la moglie, Corinna, e i figli hanno issato una rete di protezione dalle maglie molto fitte. Eppure, nonostante precauzioni sulla privacy così capillari, c’è stato chi ha provato (e quasi c’è riuscito) a violarla. Il motivo? Fare soldi sulla pelle dello sportivo, vendendo immagini di com’è oggi.

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La deposizione di Khem in tribunale: ha raccontato della telefonata e del ricatto

Khem ha raccontato ai magistrati di aver ricevuto una telefonata da un uomo che chiedeva quasi 15 milioni di euro per non pubblicare sul dark web scatti, informazioni, cartelle cliniche, video di Schumi. A tessere la trama del disegno criminoso sono stati l’ex guardia del corpo, Markus Fritsche (la cosiddetta talpa), e altri due complici (un amico, Yilmaz Tozturkan, e suo figlio, Daniel Lins, esperto informatico che utilizza il cognome da nubile della madre). L’ex agente aveva progettato di taglieggiare la famiglia del sette volte iridato dopo essere stato licenziato nel 2021

Gli autori del ricatto a Schumacher ridono al processo: chiedono di mandare un messaggio alla famiglia

“La chiamata è arrivata da un numero che non riconoscevamo – le parole della manager – e al quale inizialmente non ho risposto proprio perché di solito non non lo faccio in caso di numeri sconosciuti. Ma continua a chiamare con insistenza e alla fine ho deciso di ascoltare chi era: la voce di un uomo mi informava che era in possesso di foto di Schumacher e avrebbe potuto evitarne la condivisione sul dark web se in cambio fossero stati versati circa 15 milioni di euro”.

Il tentativo di estorsione: “Ho capito subito chi potesse esserci dietro”

Com’è stata scoperto il tentativo di estorsione? Il canale aperto è stato un indirizzo email sicuro che Lins aveva impostato per suo padre e che la polizia ha rintracciato fino a risalire alle persone che si celavano dietro. Da lì sono state inviate le prove che non si trattava di un bluff. “Quando ho visto il materiale – ha aggiunto Khem – ho pensato subito che potessero provenire solo da un nostro dipendente o da una persona che aveva lavorato con noi”. Tra queste anche un’infermiera successivamente allontanata e sospettata di aver in qualche modo aiutato l’ex guardia del corpo.

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