La manovra 2025 non ha incluso l’incremento di fondi per gli asili nido. La maggioranza ha respinto un emendamento del M5s, che avrebbe permesso di garantire il livello minimo dei servizi educativi per l’infanzia, fissato al 33% della popolazione target, su tutto il territorio nazionale. La deputata Sportiello (M5s) a Fanpage.it: “È evidente che quando parlano di famiglie non sanno di cosa parlano”.

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La maggioranza non ha accolto un emendamento del M5s alla manovra 2025, su cui il governo ha posto questa mattina la fiducia, che avrebbe permesso di raggiungere su tutto il territorio nazionale la percentuale di copertura di asili nido del 33% della popolazione target, cioè la popolazione in età compresa tra i 3 e i 36 mesi, obiettivo fissato in sede europea nel 2002 e poi superato durante la pandemia di Covid, quando le istituzioni europee hanno stabilito una nuova soglia, al 45%.

L’emendamento, a firma della deputata pentastellata Gilda Sportiello, aveva previsto un incremento di risorse per i servizi dell’infanzia. Si legge nel testo della norma: “Al fine di garantire a regime, *su tutto il territorio nazionale ed in ciascuna Regione o provincia autonoma, il livello minimo dei servizi educativi per l’infanzia fissato al 33 per cento della popolazione* target, ovvero della popolazione in età compresa tra i 3 e i 36 mesi, le risorse attribuite nel Fondo di solidarietà comunale(FSC) sono incrementate di 100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2025 per il potenziamento del servizio degli asili nido”.

L’emendamento si era reso necessario perché nell’Appendice VI al Piano Strutturale di di Bilancio di Medio Termine (PSBMT) inviata dal governo alle Camere, si specifica che l’Italia ha fissato come livello essenziale delle prestazioni nell’offerta degli asili d’infanzia una media nazionale di 33 posti su 100 minori aventi diritto, ammettendo però un minimo del 15% per Regione. In questo modo l’esecutivo Meloni ha contraddetto la manovra del 2022, che ha fissato i LEP a un livello minimo garantito del 33% di posti disponibili negli asili nido per ciascun Comune o bacino territoriale.

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La media nazionale è stata quindi mantenuta al 33%, ma un intervento di questo tipo non fa altro che fotografare le diseguaglianze attuali: al momento almeno tre Regioni del Sud sono sotto al target del 15%, Calabria (14,6), Sicilia (13) e Campania (11,7), in base agli ultimi dati disponibili. “Significa che alcune Regioni continueranno a non avere asili nido, altre invece potrebbero averne sempre di più, soddisfacendo la percentuale del 33% nazionale, legittimando di fatto le diseguaglianze che già esistono”, ha sottolineato Sportiello, contattata da Fanpage.it.

Nel 2021, vicino alla soglia del 33% c’erano Sardegna (32,5%), Veneto (32,4) e Liguria (32,2). E anche altre 4 Regioni non erano troppo distanti, superando quota 30%: Trentino Alto Adige, Piemonte, Lombardia e Marche. “Tra l’altro la soglia del 33% è già vecchia, visto che l’Europa va verso il 45%. Avrebbero potuto sfruttare l’occasione del Pnrr per migliorare la situazione, e invece hanno cancellato più di 110mila dei nuovi posti promessi negli asili nido. È evidente che quando parlano di famiglie non sanno di cosa parlano. Toccare gli asili nido significa toccare un servizio basilare per le famiglie e un diritto per bambini e bambine”, ha detto Sportiello a Fanpage.it.

La deputata Cinque Stelle ha fatto notare che da una parte la maggioranza ha respinto l’emendamento del M5s con cui si chiedeva di aumentare gli asili nido, e contemporaneamente ha approvato l’emendamento, successivamente rimodulato, con cui si prevedeva un aumento di stipendio per i ministri, i viceministri e i sottosegretari non eletti, per equiparare la loro indennità a quella dei loro colleghi al governo che erano già parlamentari prima di essere nominati. Dopo le polemiche l’emendamento dei relatori è stato riscritto – non ritirato del tutto, come ha sostenuto la premier Meloni – e l’aumento di stipendio è stato sostituito con un rimborso per le spese di trasferta solo da e per il domicilio/residenza. Per il resto, il testo è rimasto invariato: “I ministri e i sottosegretari non parlamentari e non residenti a Roma hanno diritto al rimborso delle spese di trasferta da e per il domicilio o la residenza per l’espletamento delle proprie funzioni”. Di fatto un aumento mascherato, anche se i fondi a disposizione per questo intervento sono stati più che dimezzati: il costo totale per lo Stato sarà di 500mila euro, un po’ meno della metà della cifra di 1,3 milioni inizialmente ipotizzata.

“Il M5s aveva proposto l’aumento delle pensioni minime di cento euro, per il 2025 e 2026, e aveva riproposto con le altre forze d’opposizione un emendamento per introdurre il salario minimo a 9 euro, misure importanti, che avrebbero aiutato le persone in difficoltà a sopravvivere. Ma il governo, nel momento in cui ha chiuso la porta in faccia a situazioni di grave necessità, ha deciso di aumentare gli stipendi per ministri e sottosegretari non eletti. È veramente paradossale, dimostra drammaticamente quando il governo sia lontano dalla realtà. La presidente Meloni aveva detto che sarebbe stata anche d’accordo con il ritiro dell’emendamento, dicendo che ‘l’attenzione sulla legge di bilancio’, ‘che si concentra interamente sui lavoratori, le famiglie, i redditi medio-bassi”, non avrebbe dovuto essere spostata su un’iniziativa del genere. Il punto però è un altro, si tratta di una norma ingiusta, è una misura che non sta né in cielo né in terra”.

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