Al bando i meri acquisti di un tempo solo per i consumatori in carne e ossa. Lo shopping sfrenato conquista anche lo smartphone e la moda del momento è vestire i propri avatar. Così ha pensato il colosso americano del fashion Coach, nato in un piccolo laboratorio familiare a Manhattan nel 1941 e arrivato a 5 miliardi di dollari di fatturato. La campagna “Trova il tuo coraggio” vede come protagonista la virtual human Imma. Il messaggio richiama al coraggio di essere reale attraversando mondi virtuali. La collezione invita gli utenti a vestire i propri avatar con gli ultimi modelli ed è approdata su Roblox e Zepeto.
Altro che fenomeno sporadico. Il vaso di Pandora ormai scoperchiato racconta una crescita esponenziale di queste figure non reali che abitano gli schermi e la vita quotidiana. Negli ultimi due anni si è registrata un’esplosione di avatar, con una proiezione di 270 miliardi di dollari entro il 2030. Un mercato che riscrive le regole dell’influencer marketing e che già oggi vale 10 miliardi di dollari soltanto in America. Però l’Europa non sta alla finestra: già oggi oltre il 60% dei top brand europei adotta virtual influencer nelle campagne.
L’era dell’avatar ribalta storytelling e relazioni. È quanto emerge anche dal rapporto del Reuters Institute, che evidenzia la sindrome di Matrix: sempre più giovani usano ChatGpt e altri sistemi di intelligenza artificiale per informarsi, ritenendo la nuova tecnologia come neutrale e il mondo una simulazione digitale. Intanto quest’anno Bmw ha lanciato un avatar virtuale sul proprio sito per guidare gli utenti nella scelta di modelli e piani finanziari e Nike ha integrato avatar personalizzabili nel metaverso per lo shopping virtuale.
Tra uomo e macchina
Ma c’è dell’altro. Oggi queste figure prendono sempre più il posto dei creator in carne e ossa e diventano così simili agli umani da sembrare veri. Ma quando non lo sono nei comportamenti (anche fallibili) possono creare disorientamento. È il fenomeno uncanny valley, teoria introdotta da Masahiro Mori e che descrive la sensazione di disagio o repulsione che le persone provano di fronte a oggetti o entità che assomigliano agli esseri umani, ma non sono del tutto come loro. «Man mano che i robot diventano più simili agli umani ci sembrano più familiari e accettabili. Ma la somiglianza provoca inquietudine, quasi repulsione. È la valle perturbante», ha scritto Mori nel lontano 1970.
«È il paradosso della somiglianza: più un avatar è realistico, più in alcuni casi genera disagio se percepito come quasi umano. È il motivo per cui un robot come R2-D2 di Guerre Stellari non ci turba, mentre i Visitors, rettili umanoidi che possono fingersi umani, fanno paura. Il principio pare applicarsi anche nel business: comportarsi quasi come umani è percepito come un progresso, mentre voler apparire umani ed essere riconosciuti come quasi umani crea rigetto. Attenzione comunque al fatto che l’uncanny valley non è una regola aurea, ma una tendenza di una parte della popolazione», afferma Lucio Lamberti, professore di marketing alla Polimi School Of Management e Direttore Scientifico del Behavioral Research in Immersive Environment Lab al dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano.