Il 28 e 29 luglio si terrà il Giubileo degli influencer, o meglio il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici, in programma prima di quello dedicato ai giovani. A partecipare sarà chiunque si occupi di evangelizzazione attraverso i social media. La persona «è sempre un volto e non un profilo social» e «la sua storia è una storia sacra e non un insieme di dati». Così il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, si è rivolto agli influencer cattolici a Roma per il loro Giubileo. Quello della rete è «un ambiente spesso impregnato di odio, di fake news, di falsità». «Fare dunque missione digitale è assumere le ferite e le domande di coloro che abitano quello spazio senza cedere all’anonimato, alla superficialità, alle tentazioni di protagonismo per riscoprire invece la bellezza del vivere la comunione della Chiesa e portare la speranza», ha aggiunto Parolin.

Atteggiamento dialogante

Il cardinale ha poi invitato ad «essere nel mondo ma non del mondo», «questo ci è chiesto per testimoniare la verità». Quindi è necessario «un atteggiamento attento, attivo, dialogante e missionario, capace di leggere i segni del tempo con gli occhi della fede». «Di fronte a questo la Chiesa non è chiamata a replicare schemi prefissati ma a discernere come offrire il Vangelo con fedeltà e creatività». «Per questo, più che di strategia, dobbiamo parlare di una presenza intrisa di umanità, di una testimonianza di vita evangelica e di una disponibilità al dialogo, all’ascolto e al cammino con gli altri». «Evangelizzare nel mondo digitale non è dunque un privilegio di chi sa maneggiare la tecnica ma una responsabilità di tutti», ha concluso Parolin.

La nuova sfida del Vaticano

«Fare nuovo l’ambiente digitale». Mons. Rino Fisichella, a capo della macchina organizzativa giubilare, ha ricordato che «oggi il mondo non ascolta gli influencer in quanto tali, ma li ascolta quando sono testimoni». E padre Antonio Spadaro, sotto-segretario al Dicastero della Cultura, ha evidenziato che «in un’epoca dominata da reazioni e polemiche, la sfida è comunicare con compassione e visione, restando umani, «radicati» in Dio e capaci di accendere speranza. Il digitale, ha sottolineato, ha bisogno di testimoni più che di tecnici. Di profili che trasudano misericordia. Di parole che non impongono, ma che accolgono».

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