Alcuni presidenti, prima di ripartire da Galeão, l’aeroporto internazionale di Rio de Janeiro, hanno espresso un desiderio: una passeggiata a Copacabana, la più suggestiva delle spiagge della città, “l’Arco d’amore vibrante”, secondo le parole del poeta Vinicius de Moraes. Forse con l’idea di imprimere nella memoria un’immagine di bellezza assoluta e incorruttibile. A conclusione di un G-20 che galleggia su fragili dichiarazioni di intenti. Elaborate dagli sherpa dei governi, abilissimi nel camuffare sconfitte piene in mezze vittorie.
La montagna – che qui è il Pão de Açúcar, il magnifico massiccio granitico a forma di pan di zucchero che domina su Rio – ha partorito un topolino di generici impegni fintamente condivisi. Eccoli. Inclusione sociale, lotta alla fame e alla povertà (che trarrà ulteriore vigore dal lancio dell’Alleanza globale), sostegno alla tassazione progressiva dei miliardari, misure per una transizione energetica «giusta, pulita e sostenibile», riforma della governance globale, rapidità nell’azione contro i cambiamenti climatici in vista della Cop30 che si svolgerà nel 2025 proprio in Brasile, a Belém do Pará.
Sono questi i principali impegni della Dichiarazione finale del G20 di Rio, sottoscritta dai capi di Stato e di governo presenti. L’obiettivo è «la costruzione di un mondo giusto e un pianeta sostenibile che non lasci indietro nessuno». Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, padrone di casa, passa il testimone della presidenza del G20 al leader sudafricano Cyril Ramaphosa ricordando le parole di Nelson Mandela: «È facile demolire e distruggere; gli eroi sono quelli che costruiscono».
Lula e Joe Biden annunciano un grande accordo nel settore dell’energia pulita con l’obiettivo di adottare una serie di misure per promuovere fonti energetiche meno inquinanti, in linea con l’agenda sul clima. Un accordo fortemente depotenziato dalla vittoria alle elezioni presidenziali di Donald Trump che quasi ogni giorno ripete il suo mantra, “drill, drill, drill”, un inno alle perforazioni petrolifere, corroborato da dichiarazioni forti sul disimpegno Usa nei programmi green previsti dagli Accordi di Parigi.
La Cop29 di Baku vacilla di fronte al mancato segnale forte proveniente da Rio. Si sperava in una dichiarazione politica che impegnasse le grandi potenze economiche a un aumento degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo contro gli effetti del cambiamento climatico. Dal summit invece è uscita solo una dichiarazione generica.