Il primo scoglio è stato superato. Un po’ a sorpresa, l’agenzia di rating Standard & Poor’s non ha soltanto confermato il rating della Francia, tagliato a maggio ad AA- da AA, ma ha mantenuto anche l’outlook «stabile». Resta il secondo scoglio, quello politico: Michel Barnier, il primo ministro francese che rischia una mozione di censure per il suo governo di minoranza, vede avvicinarsi della scadenza dell’ultimatum del Rassemblement national, la forza di destra radicale che minaccia un’inedita convergenza con la sinistra per sfiduciare l’esecutivo.
«Lento consolidamento delle finanze pubbliche»
Standard & Poor’s, ieri sera, è stata persino rassicurante: «Nonostante l’incertezza politica – ha spiegato – ci aspettiamo che la Francia si conformi, con un certo ritardo, al quadro fiscale della Ue e che consolidi gradualmente le finanze pubbliche nel medio termine». I mercati potrebbero ora calmarsi: nell’attesa del rating, hanno spinto i rendimenti degli Oat decennali allo stesso livello dei Ggb greci, intorno al 3 per cento.
Lo scoglio della censure
La censure potrebbe però vanificare tutto: farebbe cadere il governo, e i tempi tecnici per nominarne un altro farebbe cadere il paese in una sorta di “esercizio provvisorio” che però non impedirebbe ad alcune misure di decadere. Il deficit, che nel 2024 raggiungerà il 6,1% del pil, potrebbe salire al 7 per cento. La manovra, che al momento è pari a 60 miliardi, potrebbe diventare anche più rigida. Nel 2025 la Francia deve emettere bond per raccogliere 300 miliardi di euro e, ha spiegato il primo ministro, i pagamenti per interessi potrebbero raggiungere i 60 miliardi. «Preferirei che questi soldi siano investiti nell’industria, nell’agricoltura, nella sicurezza, nell’istruzione».
Barnier: «Continuiamo ad aggiustare il bilancio»
Barnier continua quindi a lavorare per evitare la sfiducia. Nei giorni scorsi ha incontrato tutti i partiti di opposizione. «Continuiamo a migliorarlo, ad aggiustarlo – ha detto ieri a proposito del budget – per tener conto dei voti, delle richieste dei diversi gruppi, e non soltanto di un gruppo, ma di tutti i gruppi». L’obiettivo «è trovare un equilibrio che ci permetta di mantenere l’ambizione di ridurre il deficit per ridurre il debito, un giorno».
L’approccio duro di Marine Le Pen
Il problema è che Marine Le Pen sembra determinata ad alzare sempre più il prezzo della sua astensione. «Ci sono ancora delle difficoltà. Siamo a giovedì: ha tempo fino a lunedì», ha detto giovedì, smentendo il presidente del partito, Jordan Bardella, che aveva invece già parlato di «vittoria» dopo le prime concessioni. La presidente del gruppo del Rassemblement all’Assemblée nationale ha preferito ripetere le «linee rosse» che il governo deve rispettare. La prima è l’aumento delle imposte sull’elettricità, che Rn non vuole. Barnier ha già ceduto, e ha promesso di fare un passo indietro, ma per Marine Le Pen non va bene. «Gli ultimi annunci di Michel Barnier – ha scritto su X – non sono finanziati da risparmi strutturali. Approfondiscono dunque un deficit già abissale e questo non è accettabile». La contraddizione è evidente e non a caso il quotidiano Le Figaro ha raccolto qualche perplessità tra i 125 deputati di Rn, che temono una posizione troppo dura da parte del partito, con il rischio di mettere la Francia in una situazione davvero pericolosa.