Ci voleva Lady Gaga, che, in onore alle abitudini dei suoi nonni messinesi, ha detto di amare la pasta con il sugo di finocchi e di considerarli «la verdura più italiana che ci sia», per portare all’attenzione di tutti un primato poco noto del nostro paese: la leadership nella produzione mondiale di finocchi, grazie a circa 500mila tonnellate annue ottenute su 19mila ettari, per il 75% concentrati Puglia, Calabria, Campania e Abruzzo (fonte Ismea). Il Foeniculum vulgare è un prodotto importante anche per la bilancia commerciale ortofrutticola nazionale, visto che rappresenta il settimo ortaggio più esportato, con oltre il 10% della produzione venduta all’estero per un controvalore di oltre 67 milioni di euro. Ma potrebbe fare molto di più.
«Il finocchio ha ottime potenzialità di crescere sui mercati esteri perché è un prodotto apprezzato, versatile nei consumi e con un costo relativamente basso rispetto ad altri ortaggi – afferma Mario Schiano Lo Moriello, analista di mercato di Ismea – Per questo l’export potrebbe aumentare, almeno del 100%, consolidando i mercati storici (Germania, Francia e Svizzera concentrano il 75% delle esportazioni italiane, ndr) e conquistandone di nuovi ad alto potenziale di sviluppo».
Per cogliere queste opportunità non basta fare promozione e comunicazione per far conoscere meglio quest’ortaggio e i suoi utilizzi. «Solo con l’aggregazione dell’offerta e con la programmazione degli investimenti in campo si possono evitare gli squilibri tra domanda e offerta e attenuare le eccessive oscillazioni dei prezzi all’origine che oggi rappresentano il vero punto debole del comparto» aggiunge Lo Schiano Moriello.
Dunque, la sfida è quella di organizzare la produzione per far arrivare il giusto prodotto a ogni mercato (in genere la preferenza va a calibri più piccoli e a varietà con una shelf-life più lunga), nei quantitativi richiesti e con una qualità standard, anche perché all’estero i finocchi si comprano a pezzo e non a peso. E occorre prolungare la stagione, visto che il finocchio non è più solo un ortaggio invernale.
«Noi riusciamo a programmare il raccolto e a lavorare 12 mesi l’anno perché abbiamo selezionato varietà nuove e diversificato le zone di produzione, stringendo una partnership con una trentina di aziende agricole in sei regioni, a cui forniamo semi, piante e assistenza agronomica», spiega Sabato Paolillo, amministratore dell’omonimo gruppo di Eboli, leader del settore con e 15mila tonnellate di finocchi puliti immessi sul mercato e un fatturato 2024 di 17 milioni di euro. Nei suoi 65 anni di attività, tutta incentrata sul finocchio, questo gruppo familiare l’ha valorizzato in ogni modo, trasformandolo anche in chips o in estratti per cocktail e ottenendone persino una linea cosmetica con il brand Foen.