Questione di tempo. Sui finanziamenti bancari coperti da garanzie pubbliche potrebbe presto abbattersi un notevole contenzioso. Infatti, alcune banche – a cui è stato chiesto di finanziare il tessuto imprenditoriale italiano durante la pandemia – stanno affrontando difficoltà all’atto dell’ammissione al passivo fallimentare a causa di tre diversi orientamenti giurisprudenziali che non lasciano ben presagire per il futuro (da ultimo i Tribunali di Napoli, Piacenza e Padova).

Garanzie Mcc e Sace

Nel 1996 è stato istituito il Fondo di garanzia Pmi, gestito da Mediocredito centrale (Mcc), per agevolare l’accesso al credito bancario mediante garanzie pubbliche parziali sui finanziamenti concessi da intermediari finanziari. Il Fondo è operativo dal 2000 ed è regolato oggi da un complesso intreccio normativo. Nel 1998, poi, Sace – originariamente istituita nel 1977 come sezione speciale dell’Ina – è stata trasformata nell’Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero, con il compito di rilasciare garanzie a banche nazionali o estere per finanziamenti concessi a soggetti operanti in Italia o a controparti estere.

Con l’emergenza Covid-19, l’uso di queste garanzie è stato potenziato per facilitare l’accesso delle Pmi al credito bancario ma, negli ultimi anni, a seguito della successiva liquidazione giudiziale di alcune di queste imprese, le banche garanti si sono trovate davanti – all’atto della domanda di ammissione al passivo fallimentare – a tre diversi approcci giurisprudenziali.

Nullità del contratto

Un primo orientamento vede alcuni giudici (Tribunale di Napoli, 5 febbraio 2025) negare l’ammissione al passivo del credito bancario, ritenendo che la banca avesse erogato il finanziamento nonostante un’errata o insufficiente valutazione del merito creditizio dell’impresa. La tesi è che le banche avrebbero consapevolmente concesso credito a soggetti non meritevoli, confidando nella copertura pubblica (Mcc o Sace). Questa condotta integrerebbe violazione di norme penali (malversazione o indebita percezione di erogazioni pubbliche) o, addirittura, una partecipazione esterna della banca al reato di bancarotta semplice o, comunque, la violazione delle norme sulla sana e prudente gestione di una banca (articolo 5 del Tub). La conseguenza? Nullità del contratto per illiceità della causa e inammissibilità al passivo di interessi, spese e commissioni.

Violazione del buon costume

Un secondo orientamento vede altri tribunali (Piacenza, 8 gennaio 2025) adottare una linea ancora più severa: la concessione di credito a soggetti non meritevoli, coperti da garanzia pubblica, violerebbe addirittura l’ordine pubblico economico e il buon costume. In base all’articolo 2035 del Codice civile, ciò comporterebbe, non soltanto la perdita degli interessi e delle commissioni, ma anche dell’intero capitale, con divieto per la banca di pretenderne la restituzione.

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