Nel 2011 l’Italia importava dal Giappone 74mila litri di sake, nel 2024 sono diventati 384mila, secondo quanto rileva la Japan Sake and Shochu Makers Association. È una bella parabola quella della bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del riso, dallo scorso dicembre entrata nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, che in dieci anni ha aumentato del 180% le quantità vendute in Italia.
Un trend che ci ha reso il quinto mercato di sbocco in Europa, dove primeggiano tedeschi, olandesi e inglesi. Ma i più grandi acquirenti al mondo sono cinesi e coreani, con circa 5 milioni di litri importati nel 2024, anno record per le vendite globali di sake giapponese, che hanno raggiunto i 43,5 miliardi di yen. In Italia, dopo un autentico boom, da un paio di anni le quantità hanno rallentato (il picco è stato raggiunto nel 2022 con 494mila litri), ma il giro d’affari ha continuato ad aumentare, sfiorando l’anno scorso i 269 milioni di euro. Ossia il 117% in più rispetto al 2023 e il 362% in più rispetto al 2014.
Il successo del sake si inserisce nella “nippomania“ degli italiani, conquistati dal made in Japan, food and beverage compresi (le importazioni di pesce pregiato sono raddoppiate in 5 anni) ma anche dalla vicinanza culturale con il mondo delle bevande fermentate.
«Ci sono molte persone in Italia che amano la cultura del Giappone e l’hanno conosciuto attraverso la musica J-pop, i manga i film e le serie tv – spiega Yu Miyake, direttore generale di Jetro Milano, l’ente governativo che si occupa di promuovere il commercio e gli investimenti tra il Giappone e il resto del mondo – Anche la miscelazione a base di spirit giapponesi come il sakè, ma anche il whisky e il gin, sta diventando un fenomeno sempre più apprezzato dagli italiani che vogliono trovare un po’ di Giappone anche nei loro cocktail».
Un interesse confermato anche dalle nuove aperture dedicate al re degli spirit nipponici. A Roma è nato Nomimoto Roma Sake Club, il primo circolo del sake della Capitale, che propone appuntamenti per appassionati di questo spirit. Ed è appena arrivata Sake Boutique Izakaya, un locale che propone una selezione esclusiva di oltre 30 etichette di sake e distillati giapponesi. Una “carta” studiata per valorizzare al meglio questa bevanda fermentata e farla scoprire in tutte le sue declinazioni, sia in purezza sia nella mixology sia abbinata a piatti tipici della tradizione degli izakaya (letteralmente “negozio di sakè dove ci si siede”, un tempo chiamati anche “lanterne rosse” per l’insegna che li caratterizzava), i locali dove si va dopo il lavoro per bere e mangiare qualcosa. «Nell’ultimo decennio il sake è stato rivalutato come eccellenza da gustare al calice in abbinamento ai piatti, servito freddo e trattato come un buon vino» spiega il titolare Yuri Zhou.
Come i vini, anche i saké (anzi i nihonshu, come sono chiamati in Giappone) possono essere molto diversi tra di loro. Il tipo di acqua, di lieviti e di koji (un fungo che trasforma l’amido del riso in zuccheri semplici, la modalità e la temperatura di fermentazione, le tecniche di filtrazione e la durata dell’affinamento (che va da 3 a 50 anni) fanno la differenza e distinguono le produzioni delle oltre 1.200 sakagura, di cui la più antica ha oltre 500 anni. «Per una questione di palato, gli italiani sembrano preferire i sake aromatici e quelli secchi, che stanno trovando spazio nei listening bar e nei wine bar, dove danno vita a nuove esperienze di consumo» spiega Edelberto Baracco, presidente e ceo di Compagnia dei Caraibi, importatori di sake e partner di Jetro Milano.