Dopo gli anni di graduale ripresa del post Covid, il settore dei distributori automatici di cibi e bevande torna a registrare un bilancio negativo: nei primi nove mesi dell’anno il numero di consumazioni è diminuito del 3,4% a quota 2,9 miliardi, mentre il fatturato è sceso dell’1,7%, a quota 1,19 miliardi (è stato di 1,6 miliardi nell’intero 2023).
Secondo i dati elaborati da Ipsos per Confida, l’Associazione italiana della distribuzione automatica, il caffè, che pesa per il 57% delle consumazioni, perde il 2,9% rispetto allo stesso periodo del 2023. Male anche le bevande fredde che registrano un calo del 3,6%, gli snack (-2,8%) e i gelati (-34,3%). I prodotti che registrano un andamento positivo sono invece gli energy drink (+0,9%), le bevande a base di frutta con bassa (+8,9%) o alta (+3,12%) concentrazione di frutta, gli snack dolci (+4,7%) e salati (+0,5%), e il confectionery (cioè i chewingum e le caramelle, +5,2%).
Tra i fattori alla base della frenata dei ricavi pesa ancora lo smart working: Confida cita uno studio del Politecnico di Milano secondo cui il lavoro a distanza è stabile con oltre 3,55 milioni di dipendenti che lo praticano, e con stime di crescita per il 2025. «Sono dati che vanno letti anche alla luce del fatto che siamo ancora sotto del 19% rispetto al pre Covid come numero di consumazioni, mentre lo smart working è cresciuto del 540%. Inoltre – dice Massimo Trapletti, presidente di Confida – negli ospedali sono ancora attive misure restrittive sulle visite e non a caso lì registriamo un calo del 35%. Ma pesa anche la diminuzione della capacità di acquisto delle famiglie. Sono aumentate le ore di cassa integrazione e certo questo non aiuta le vendite nei luoghi di lavoro. E soprattutto sono dati che vanno messi in relazione con l’aumento delle materie prime. Il caffè è aumentato del 68% nell’ultimo anno e rappresenta il 57% delle vendite automatiche, ma è solo il caso più eclatante perché gli aumenti hanno colpito anche ad esempio latte e cioccolato, oltre che i prodotti preconfezionati». La combinazione tra aumento dei costi e calo degli acquisti, unito al fatto che non decollano i consumi dei pasti pronti, sta mettendo in crisi il settore. «Gli aumenti dei prezzi praticati negli ultimi due anni si aggirano sul 12-13% – continua Trapletti – e non sono sufficienti a compensare i maggiori esborsi delle aziende. Inoltre, una volta ottenuto l’aumento del prezzo occorre tempo perché i tecnici adeguino le 830mila macchine sul territorio, con un ritardo di mesi perché ci sia un effettivo impatto sugli incassi».
Una situazione che sta mettendo in difficoltà anche la vendita delle stesse macchine distributrici, settore in cui l’Italia è leader in Europa e che ha subito una frenata di oltre il 20% nel primo semestre 2024. Per questi motivi Confida ha chiesto al Governo di poter rientrare tra i benificiari nel piano di Transizione 5.0. «Il piano di incentivi di Industria 4.0 ha portato a un rinnovamento del parco macchine – dice Trapletti – ora sempre più dotate di schermi touch (+ 20% nell’ultimo anno) e app per il pagamento (un terzo del totale), ma per questioni tecniche non rientriamo nella platea dei beneficiari di Transizione 5.0 perché i costi di certificazione, così come previsti oggi dalla norma, diventerebbero insostenibili rispetto al costo della macchine stesse, che pure garantirebbero i parametri di risparmio energetico previsti. È in corso un dialogo con il Mimit per trovare una soluzione». Il settore conta in Italia oltre 3mila imprese per circa 33mila occupati, ma da Confida denunciano anche la cronica mancanza di personale: con Randstad è appena partita una campagna di recruiting in tutta Italia.