Poche industrie hanno corteggiato Donald Trump con l’assiduità di Big Tech. Milioni donati alla sua cerimonia di insediamento, visite alla residenza privata di Mar-a-Lago e alla Casa Bianca. Annunci roboanti, più o meno credibili, da parte di Apple come di OpenAi, su investimenti in patria da centinaia di miliardi in omaggio all’agenda di America First. E toni da seguaci delle sue cause, da Jeff Bezos di Amazon, che alla vigilia delle elezioni ritira il sostegno del suo Washington Post alla democratica Kamala Harris, a Mark Zuckerberg di Meta che denuncia la scarsa virilità della Corporate America.

Eppure poche industrie hanno a oggi visto le loro priorità più trascurate. Il protezionismo commerciale, in continua evoluzione tra annunci e parziali retromarce, cozza con la natura di aziende particolarmente globalizzate come quelle tecnologiche. Con l’ennesima svolta Trump ha per ora esentato dai dazi reciproci globali – in primo luogo quelli elevatissimi contro la Cina – molta elettronica (smartphone, Pc, tecnologie per produrre semiconduttori) consentendo a gruppi da Apple a Dell e Nvidia di tirare un sospiro di sollievo. La spada di Damocle dei dazi però tuttora incombe: l’esenzione, ha avvertito la Casa Bianca, può rivelarsi temporanea e già entro pochi mesi sono previste nuove tariffe sui chip, che potranno colpire l’intero settore tecnologico.

In un clima di protezionismo in ascesa, la posta in gioco per i marchi della Silicon Valley è sicuramente molto alta loro gadget e piani di sviluppo, frutto di reti multinazionali, sono sotto tiro dei rincari; e i servizi, che per molte Big Tech sono l’export per eccellenza nel mondo, sono alla mercé di rappresaglie. Andy Jassy, ceo di Amazon, si aspetta che le tariffe danneggino il re Usa dell’e-commerce. Mentre minacciano di deragliare le strategie per data center e intelligenza artificiale di Nvidia o Alphabet.

Il confronto con la Ue

Il duello con l’Europa è emblematico dei tanti rischi. La Ue, seppur tra divisioni, potrebbe considerare seriamente balzelli mirati ai leader digitali e tech Usa, se non ci saranno accordi che disinneschino le tensioni transatlantiche. Proprio oggi il commissario Ue al commercio, Maros Sefcovic, sarà a Washington per negoziati. Ma la valutazione dei ministri finanziari europei è molto cauta. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha affermato che, se il dialogo dovesse fallire, la Ue potrebbe applicare ad esempio una tassa sulla raccolta di pubblicità digitale che colpirebbe da Meta a Google. Sarebbe una risposta anche a pratiche fiscali di Big Tech sotto accusa, quali mancati pagamenti dell’Iva.

Dazi Trump, von der Leyen: “Senza intesa tasseremo le Big Tech”

Bruxelles ha già chiarito che non intende cedere quando si tratta di legislazione, regolamentazione, diritti dei consumatori e privacy: protezioni che gli Stati Uniti considerano discriminatorie o, nelle parole di Trump, forme di “estorsione”. L’atteggiamento più severo verso i colossi tech si è già manifestato con il Digital markets act che ha preso di mira il loro strapotere: il mese scorso la Commissione ha accusato Alphabet – casa madre di Google – di averlo violato e ammonito Apple. Negli arsenali della Ue c’è poi l’Anti-coercion instrument che può tardare licenze, limitare accesso a contratti pubblici, imporre restrizioni sulla proprietà intellettuale, bloccare investimenti.

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