Chianti e Amarone, Barbera, Friulano e Ribolla, Pecorino Romano, Prosecco e sidro di mele. Sono i prodotti più esposti ai dazi americani che scatteranno (o dovrebbero scattare) il 2 aprile. L’analisi di Cia-Agricoltori Italiani-Nomisma, presentata durante la X Conferenza economica della confederazione a Roma rivela che, in termini di incidenza percentuale sulle vendite in Usa, al primo posto si colloca il sidro, nicchia di eccellenza che destina il 72% del suo export al mercato americano (per un valore di circa 109 milioni di euro nel 2024).
Segue il Pecorino Romano (prodotto al 90% in Sardegna), il cui export negli Usa vale il 57% di quello complessivo (quasi 151 milioni di euro). L’industria americana è ghiotta di tali prodotti, che utilizza per il popolare Apple Cider (è il caso del sidro), o per insaporire le patatine in busta (il Pecorino); ma con i dazi al 25%, il florido settore americano di chips e snack (2,5 miliardi) potrebbe decidere di sostituire il prodotto nostrano con altri prodotti caseari più convenienti.

Discorso a parte merita il vino italiano, per il quale gli Usa sono la prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro fatturati nel 2024, ma con “esposizioni” più forti di altre a seconda delle bottiglie. A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni). Anche in questo caso il rischio è che i dazi aprano la strada ai competitor: dal Malbec argentino, allo Shiraz australiano, fino al Merlot cileno.

Anche per l’olio d’oliva italiano gli Stati Uniti hanno un peso significativo, pari al 32% del proprio export (937 milioni di euro nel 2024), ma il prodotto risulta meno sostituibile, così come i liquori (26%, 143 milioni).
Meno esposti al mercato Usa risultano invece Parmigiano Reggiano e Grana Padano, per una quota che pesa per il 17% del valore dell’export congiunto di questi due formaggi (253 milioni), così come pasta e prodotti da forno (13%, 1,1 miliardi).

«L’export agroalimentare negli Usa è cresciuto del 158% in dieci anni e oggi gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di riferimento mondiale per cibo e vino Made in Italy, con 7,8 miliardi di euro nel 2024», commenta il presidente di Cia Cristiano Fini che chiede «un’azione diplomatica forte, per trovare una soluzione e non compromettere i traguardi raggiunti finora». Secondo il presidente «l’Italia può e deve essere capofila in Europa nell’apertura di un negoziato con Trump, visto che abbiamo anche più da perdere».

Condividere.
Exit mobile version