La maggioranza intensifica il pressing alla Camera per aprire una nuova fase semestrale di “silenzio assenso” per il Tfr, con l’obiettivo di rafforzare la previdenza complementare. Tra i circa 250 emendamenti “super-segnalati” alla manovra, su cui si comincerà a votare in Commissione Bilancio dalla seconda settimana di dicembre, c’è anche quello del presidente della commissione Lavoro, Walter Rizzetto (Fdi), che va proprio in questa direzione. E che è di fatto in linea con l’auspicio espresso nelle scorse settimane dal ministro del Lavoro, Marina Calderone, e con alcune delle richieste della Lega. E nel caso in cui questo ritocco dovesse ottenere l’ok di Montecitorio, il prossimo anno il flusso delle liquidazioni indirizzato sui fondi pensione sarebbe destinato a subire un’impennata. Nel 2023 dei circa 31,3 miliardi di Tfr generati dal sistema produttivo, secondo stime riportate nell’ultima rilevazione della Covip, solo 7,8 miliardi, pari a circa il 25%, sono stati versati a forme di previdenza integrativa: una “quota” leggermente più alta del 22,2% registrato a partire dal 2007, anno in cui sono scattate le regole ora in vigore. Altri 17,3 miliardi sono rimasti accantonati presso le aziende e 6,1 miliardi sono stati destinati al Fondo di tesoreria dell’Inps.

Gli under 35

Una percentuale che in molti nella maggioranza, e non solo, considerano ancora insufficiente, soprattutto guardando alla necessità di irrobustire la cosiddetta “copertura previdenziale” degli under 35, prevalentemente con carriere discontinue. Di qui il pressing per aprire un nuovo semestre di “silenzio assenso”, che, sulla base dell’emendamento Rizzetto, dovrebbe scattare il 1° gennaio 2025. Si tratterebbe di fatto di una riedizione dell’intervento che accompagnò l’avvio della riforma della previdenza complementare introdotta nel 2007. Una riforma che sostanzialmente prevede il mantenimento del Tfr nelle imprese con meno di 50 dipendenti, il “parcheggio” della “liquidazione” al fondo di Tesoreria nel caso in cui i dipendenti di aziende con più di 50 dipendenti non optino per la previdenza integrativa, ma anche la destinazione del Tfr maturando alla forma previdenziale collettiva nell’eventualità in cui entro sei mesi dalla sua prima assunzione il lavoratore non abbia effettuato alcuna scelta sulla propria liquidazione. La stessa riforma ha dato sempre al lavoratore anche la possibilità di indirizzare il Trattamento di fine rapporto sulle forme complementari in “modalità esplicita”, ovvero versando il proprio Tfr a un fondo pensione o a altra forma integrativa, e destinando alla previdenza complementare, oltre al “maturando”, anche una quota di contribuzione aggiuntiva (a sua carico ed eventualmente anche del datore di lavoro). Quota che è interamente deducibile dal reddito complessivo fino alla soglia annua di 5.164,57 euro.

Dall’avvio nel 2007 della riforma, che ha offerto ai lavoratori queste diverse opzioni per utilizzare le quote maturande di Trattamento di fine rapporto, a tutto il 2023 è stato generato un flusso di “liquidazioni” di circa 438 miliardi: più della metà (il 55,3%, pari a 241,9 miliardi) è rimasto in azienda. Al fondo di tesoreria sono confluiti 98,5 miliardi (il 22,5% del totale) e 97,3 miliardi (il 22,2%) hanno preso la strada della previdenza complementare.

Altri correttivi

Dall’ultimo rapporto annuale della Covip emerge che lo scorso anno le forme pensionistiche complementari hanno raccolto 19,2 miliardi di euro di contributi contro i 18,2 miliardi del 2022 (+ 5,2%). Di questi “versamenti”, 7,8 miliardi hanno riguardato quote di Tfr, mentre i contributi a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro sono risultati pari, rispettivamente, a 5 e 2,9 miliardi.

La maggioranza spinge anche per altri correttivi al capitolo pensioni della manovra. Nella lista ristretta degli emendamenti “super-segnalati” compaiono, oltre al ritocco targato Fi per portare le “minime” almeno a 623 euro mensili, due ritocchi della Lega, che puntano a dare la possibilità ai datori di lavoro di utilizzare anche premi aziendali per agevolare le uscite e a consentire che il valore delle rendite complementari possa essere computato, su richiesta, per raggiungere la soglia di importo minima richiesta per l’accesso alla pensione di vecchiaia e a quella anticipata.

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