Il Consiglio superiore della magistratura ha approvato, con una larga maggioranza, la risoluzione per la tutela dei giudici di Bologna, gli stessi che rinviarono alla Corte europea di giustizia il decreto legge sui Paesi sicuri. La tutela non produce alcun effetto giuridico, ma rappresenta una posizione ufficiale del Csm sulla vicenda, stigmatizzando le dure reazioni del governo sui magistrati in merito a quel caso. È la prima pratica a tutela che sfocia in una risoluzione del plenum negli ultimi 15 anni. Quella precedente risale al 2009 e riguarda il caso Raimondo Mesiano, estensore della sentenza sul lodo Mondadori. Dopo il 2009 altre due pratiche erano giunte al plenum, nel 2019 e nel 2021, ma non riguardavano i rapporti con la politica ed erano invece in merito a servizi televisivi per vicende di cronaca.

Risoluzione approvata con il sì di tutte le toghe

La risoluzione è stata approvata con 26 voti favorevoli (tra cui quello di tutte le toghe) e cinque contrari, ovvero quello dei componenti laici di FdI, Lega e Forza Italia. Il vice presidente Pinelli non ha partecipato alla votazione e nessuno si è astenuto. Secondo la prima Commissione del Csm quel provvedimento era stato oggetto di «dure dichiarazioni da parte di titolari di alte cariche istituzionali non correlate al merito delle argomentazioni giuridiche sviluppate nell’ordinanza, che adombrano un’assenza di imparzialità dell’organo giudicante priva di riscontri obiettivi».

Richiesta di chiarimenti su due questioni

Il Tribunale di Bologna, a fine ottobre, ha rinviato alla Corte di Giustizia europea il caso di un cittadino del Bangladesh (inserito dal governo tra i Paesi sicuri) che aveva visto respinta la domanda di protezione internazionale. Il rinvio del tribunale di Bologna si configura, sostanzialmente, come una richiesta di chiarimenti su due questioni: quale sia il parametro su cui individuare i cosiddetti paesi sicuri e se il principio del primato europeo imponga di ritenere che in caso di contrasto fra le normative prevalga quella comunitaria. Una richiesta, come ha detto il presidente del Tribunale Pasquale Liccardo, che ha soprattutto l’obiettivo dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione Europea. È proprio sulla definizione di “paese sicuro” che si fonda il lungo quesito che il tribunale ha inviato in Lussemburgo, entrando però anche nel merito e contestando il principio per cui potrebbe definirsi sicuro un Paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza, visto che il sistema di protezione internazionale si rivolge in particolare alle minoranze minacciate e perseguitate.

«Anche Germania nazista paese sicuro?»

Molto criticato è stato il passaggio in cui il tribunale è ricorso al paradosso che la Germania nazista fosse stata estremamente sicura per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca, ad eccezione di ebrei, omosessuali, oppositori politici e rom. Il tribunale ha fatto poi esplicito riferimento al caso del Bangladesh, partendo proprio dal procedimento che ha innescato il rinvio, ricordando che i casi in cui si riscontra la necessità di una protezione internazionale sono legati all’appartenenza alla comunità Lgbtqi+, alle vittime di violenza di genere, alle minoranze etniche e religiose, senza dimenticare i cosiddetti sfollati climatici.

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