Nei primi nove mesi del 2024 le importazioni di cemento e clinker da Paesi extra Ue sono aumentate del 43% rispetto allo stesso periodo del 2023, un anno che aveva visto 2.284.000 tonnellate di cemento e 1.327.000 di clinker varcare i nostri confini: massimo storico di importazioni totali, +22,6% sul 2022. Mentre tra 2018 e 2023 l’aumento è stato del 572%, segnala Federbeton, l’associazione di Confindustria delle aziende produttrici di cemento e calcestruzzo.

All’estero costi più bassi

Il flusso di materiali che arriva da fuori è favorito da costi produttivi più bassi all’origine, a loro volta determinati da minori investimenti ambientali. Stefano Gallini, presidente di Federbeton, mostra preoccupazione: «L’Italia condivide il suo affaccio sul mar Mediterraneo con Paesi che, sebbene vantino una grande industria produttiva nel campo del cemento, non condividono gli stringenti standard ambientali e di sicurezza dei Paesi appartenenti all’Ue. L’aumento delle importazioni da questi Paesi rischia dunque di avere ripercussioni non solo sul comparto del cemento e del calcestruzzo, ma sull’intero contesto economico e sociale italiano: la sicurezza e la sostenibilità di ponti, viadotti, ospedali, case e scuole passa dalla qualità dei materiali usati per costruirli. Avere certezza di questa qualità, oltre che della provenienza, è quello che certifica un’opera come Made in Italy, sinonimo da sempre di merito e preziosità».

Perdita di competitività

La perdita di competitività dell’industria nazionale, che conta 2.621 aziende e oltre 35.000 addetti, porterebbe a legare l’approvvigionamento di materiali fondamentali alla crescita e alla sicurezza del Paese alle importazioni, rendendo molto più instabili i flussi e i livelli di costo e mettendo in difficoltà l’intera filiera delle costruzioni, indica ancora l’associazione.

Decarbonizzazione e tutela

«Federbeton, così come tutta l’industria hard to abate, si trova in un momento di forte fermento, impegnata in un percorso per la decarbonizzazione con investimenti pari a 4,2 miliardi di euro oltre a extra-costi operativi di circa 1,4 miliardi annui. Chiedere all’industria italiana uno sforzo di questo tipo e continuare a non tutelarla permettendo un’importazione incontrollata significa delocalizzare le emissioni in Paesi esteri, alle quali si aggiungono quelle dovute al trasporto maggiore, con ripercussioni pericolose per il futuro del nostro stesso pianeta», conclude il presidente.

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