Dichiarazione shock nel processo ai quattro agenti egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e poi ucciso Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano.

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“Sentii dire dal maggiore Majdi Ibrahim Abdel-Al Sharif: nel nostro paese abbiamo avuto il caso di un accademico italiano che pensavamo fosse della Cia ma anche del Mossad. Era un problema perché era popolare fra la gente comune. Finalmente l’abbiamo preso: lo abbiamo fatto a pezzi, lo abbiamo distrutto. Io l’ho colpito’“.

Sono le scioccanti parole di un testimone protetto che ha deposto oggi in aula in occasione del processo che vede imputati quattro agenti egiziani per il sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni, avvenuto nel 2016 a Il Cairo, in Egitto.

A quasi nove anni dall’assassinio del ricercatore italiano, il processo, in corso a Roma, entra nel vivo con testimonianze significative che gettano nuova luce sul ruolo dei presunti responsabili che portarono alla morte del giovane.

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Il testimone che ha deposto oggi è colui che ha reso possibile l’incriminazione di Majdi Ibrahim Abdel-Al Sharif e della sua squadra.

Oggi ha ribadito in aula ciò che aveva già raccontato nel 2019: due anni prima, nel 2017, in un caffè di Nairobi, capitale del Kenya, aveva infatti ascoltato alcuni funzionari egiziani discutere in arabo del caso del “ragazzo italiano”.

“All’epoca”, ha dichiarato il testimone “facevo il venditore di libri. Mi trovavo al ristorante per incontrare un professore dell’università che voleva acquistare alcuni volumi. Al tavolo accanto c’erano due uomini. Erano un funzionario della sicurezza keniota e un egiziano, sceso poco prima da un veicolo diplomatico. Erano a distanza di circa due metri da me: non c’erano tavoli fra noi. Hanno iniziato a parlare delle elezioni presidenziali in Kenya, parlavano in inglese. Parlavano di tensioni e scontri con la polizia dopo il voto contro la legittimità delle operazioni di voto e di vittime che c’erano state. Criticavano l’Unione Europea che manifestava solidarietà con le proteste. Il funzionario diceva che bisognava restare fermi e che senza ingerenze straniere le forze di polizia avrebbero potuto reprimere meglio”.

Il teste ha poi riferito che uno dei funzionari ha aggiunto: “l’Unione Europea è un problema grande per noi in Egitto” per poi dire che “nel nostro Paese abbiamo avuto il caso di un accademico italiano che pensavamo fosse della Cia o del Mossad. Sottolineava come questa persona fosse un problema perché era popolare fra la gente comune. Interagiva con la popolazione nei mercati”.

“Ho collegato dopo di chi parlavano, parlavano di un italiano che era un problema”, ha detto ancora in aula. Nel processo, a giudizio ci sono il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e proprio il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif.

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