Cannabis light, si volta pagina. Il decreto Sicurezza appena convertito in legge dal Senato, dove le opposizioni hanno inscenato un sit-in nell’emiciclo e si è quasi sfiorata la rissa con la maggioranza, assesta un duro colpo alla canapa a basso contenuto di tetraidrocannabinolo (Thc). L’obiettivo dichiarato è quello di «evitare che l’assunzione di prodotti da infiorescenza della canapa possa favorire – mediante alterazioni dello stato psicofisico – l’insorgere di comportamenti che possono porre a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica o la sicurezza stradale».
Il divieto totale di produzione e vendita di infiorescenze e derivati
L’articolo 18 del provvedimento, fortemente voluto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, che ha la delega all’antidroga, interviene, dunque, a modificare la legge 242/2016 che disciplina il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa. In particolare, stabilisce il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata. Vietata anche la commercializzazione dei prodotti contenenti i fiori, compresi gli estratti, le resine e gli olii da essi derivati. In sintesi: modello coffee shop addio, l’Olanda è più lontana che mai.
Salvata soltanto la produzione agricola di semi
La coltivazione della canapa è oggi consentita senza la necessità di autorizzazione a condizione che dalla stessa si ottengano, tra l’altro, prodotti destinati al florovivaismo professionale. Si salva dallo stop, grazie a una modifica introdotta nel passaggio da disegno di legge a decreto legge, soltanto la produzione agricola di semi per «gli usi consentiti dalla legge» entro i limiti di contaminazione attualmente definiti con decreto del ministro della Salute 4 novembre 2019.
Che cosa rischia chi viola i divieti
In caso di trasgressione dei divieti, la legge prevede l’applicazione delle sanzioni previste al Titolo VIII del Testo unico sugli stupefacenti (Dpr 309/1990). I principali reati contemplati – ricordati nel dossier del Servizio studi di Palazzo Madama – sono quelli di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, punito di base con la reclusione da sei a vent’anni e con la multa da 26mila a 260mila euro (pene maggiori sono previste se il reato è commesso da chi detiene l’autorizzazione a coltivare, produrre, importare, esportare, commerciare sostanze stupefacenti o psicotrope, mentre pene inferiori si applicano ai casi lieve entità) e l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, punita con la reclusione non inferiore a vent’anni per chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione e la reclusione non inferiore a dieci anni per chi vi partecipa.
Le aggravanti
Lo stesso capo stabilisce alcune aggravanti specifiche che aumentano le pene da un terzo alla metà, tra cui la consegna di sostanze a persona minore, la cessione effettuata all’interno o in prossimità di scuole, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti, l’adulterazione che accentui la potenzialità lesiva delle sostanze. La pena è aumentata dalla metà a due terzi, invece, se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope e arriva a trent’anni quando ricorrono sia la quantità ingente sia l’adulterazione che accentua la lesività. Altri reati previsti sono quelli di agevolazioni dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, di istigazione, proselitismo e induzione al reato di persona minore e di prescrizioni abusive per uso non terapeutico.