Burgez, nato per essere il cattivo del fast food italiano, ha fatto dell’irriverenza il suo core business. “Mangiare Burgez nuoce gravemente alla salute”, “Ti fa schifo? Buono, vuol dire che è nostro”. A qualcuno ha fatto ridere, a molti ha fatto discutere, ma a tutti ha fatto parlare.

Burgez nasce nel 2015 da un’illuminazione mistica (e un po’ romanzata) tra il fondatore Simone Ciarruffoli e un senzatetto a New York. Da lì il panino si “smasha”, la comunicazione è virale e il brand si espande. Milano, Roma, Bologna: locali ovunque, fino a fatturare quasi 12 milioni di euro nel 2022, ma con una perdita di € -2.401.442.
Burgez non ha fatto scuola nel marketing irriverente. Diciamo che a scuola non ci è mai andato. Ha giocato a fare il ribelle, il nerd del panino, quello che ti vende un cheeseburger e ti prende pure in giro. E finché sei piccolo, funziona.

Sei il burger bullo che sfida McDonald’s a colpi di meme e valanghe di salse. Ma poi cresci. Diventi leader nella tua nicchia (smash burger in Italia) e da lì in poi non puoi più fare solo marketing da outsider. Burgez non ha capito il cambio di fase: da lancio a mantenimento.
Ha continuato a fare guerrilla marketing, a creare polemiche e a ottenere visibilità. Finte denunce di sfruttamento dentro i sacchetti dei panini? Polemica. Magliette sul “vero doggy style” per la festa della donna? Polemica.

La provocazione come unico linguaggio funziona e a me piace, ma quando diventa sistema, diventa rumore. E con il rumore nessuno riesce più a comunicare e non si crea una relazione. Sui social i brand diventano delle persone, e se non vengono condivisi dei valori, se non vengono sposate delle battaglie, non si crea una relazione con gli utenti. Possiamo attirare l’attenzione facendo tanto rumore e possiamo farci conoscere da tantissimi utenti andando virali, ma solo la condivisione di ideali crea un legame.

Burgez è stato descritto in questi anni anche come un successo social, ma se consideriamo il numero di follower attuali: 94.894 e l’engagement rate medio sviluppato, 0,05% (metrica che misura quanto un pubblico interagisce con i contenuti di un profilo social), e una media di 43 like a post, capiamo che sono tutti utenti che conoscono il brand, ma non sono in relazione con esso, non sono coinvolti e forse non lo sono mai stati. Erano solo impressionati.

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