È difficile fare un elenco esaustivo di ciò che rende Chanel un marchio unico, tra quelli in cima a ogni classifica economica e di notorietà del settore del lusso. Rispetto ai due con i quali divide il podio dei ricavi, Hermès e Louis Vuitton, si può dire prima di tutto che Chanel non è quotata. Fino a pochi anni su fatturato e utili c’erano “solo” le stime degli analisti, ma dal 2018, in primavera, la maison diffonde numeri sempre più dettagliati. Dai 9,6 miliardi di dollari di ricavi e 2,7 miliardi di utili operativi dell’esercizio 2017, si è passati ai 18,7 miliardi del 2024, un fatturato in calo rispetto al 2023, ma con utili operativi di 4,8 miliardi. Di indici e dati di vendita Bruno Pavlovsky, presidente delle attività moda di Chanel, non parla spesso, anche perché, come detto, sono numeri disponibili persino sul sito ufficiale della maison dal giorno in cui vengono annunciati. Ma quasi certamente non lo fa pure perché preferisce raccontare molto altro e spiegare, direttamente e indirettamente, l’unicità di Chanel della quale dicevamo e che va molto oltre la scelta di non essere quotati.

Bruno Pavlovsky (© JOEL SAGET / AFP)

La sfilata di Parigi del 6 ottobre era la più attesa di questa tornata di settimane del pret-à-porter per la primavera-estate 2026, con il debutto di Matthieu Blazy, nominato direttore creativo di Chanel alla fine del 2024. Come ha vissuto questi lunghi, per gli standard della moda, mesi di preparazione?«È vero, in Chanel abbiamo una concezione del tempo che potremmo dire diversa. O meglio: sappiamo quanto il tempo sia una risorsa preziosa e limitata per tutti, ma ci prendiamo quello che riteniamo necessario per fare le cose davvero bene, rispettando la visione che abbiamo e gli obiettivi, sempre di lungo periodo. Basti pensare che nella sua lunga storia, la maison ha avuto solo quattro direttori creativi: la fondatrice Gabrielle, Karl Lagerfeld, Virginie Viard e ora Matthieu. Virginie, dal 2019 al 2024, ha egregiamente condotto Chanel in un periodo di transizione, dopo il lungo “regno” di Karl. Matthieu è chiamato a portarci in un’era diversa, ma nel rispetto della sua personale storia e di quella della maison e della sua fondatrice, oltre che, naturalmente, nel rispetto delle persone che lavorano in Chanel e di tutte le clienti».

Chanel, la collezione per la PE 2026

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Nel 2025 Chanel non ha solo accolto Blazy, ha lanciato il progetto Nevold, che riguarda la sostenibilità. Anche in questo caso, la formula è diversa, unica.
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evold, contrazione di “never old”, è una business unit indipendente, B2B, incentrata sulla circolarità, pensata per gestire articoli invenduti, scarti di tessuti e altri materiali inutilizzati. Lavoriamo da decenni su quella che oggi viene chiamata sostenibilità ambientale e sociale e abbiamo sempre investito per evitare sprechi di materie prime preziose, a partire dall’acqua. La tecnologia dà a chiunque nuovi strumenti, sia per i processi di riciclo sia per la lavorazione dei materiali. Credo debba essere una priorità per tutti, persone, aziende, Paesi: servono maggior consapevolezza e responsabilità nell’uso delle materie prime. Se aggiungiamo che le giovani generazioni sono più attente a questi temi, abbiamo un’altra ottima ragione per andare in questa direzione. Ma ripeto: non è marketing né comunicazione, bensì un ulteriore tassello della visione che abbiamo del lusso. Per questo non escludiamo di condividere con altre maison ricerche, risultati, best practice che nascano con l’esperienza di Nevold».

Chanel porta la nuova collezione Cruise sul Lago di Como

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In occasione della sfilata della cruise collection sul lago di Como, alla fine di aprile, avete annunciato l’acquisto del 35% di Mantero. Ci saranno altre operazioni in Italia?
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Non ho problemi a dire, con un certo orgoglio e soddisfazione, che Chanel ha una doppia anima. O meglio, ha due anime che convivono felicemente, nutrendosi a vicenda: una è francese, l’altra è italiana. Proprio in aprile ho ricordato che, per quanto riguarda la parte di manifattura, ci sono più persone che lavorano per Chanel in Italia che in Francia. Avete una filiera del tessile-abbigliamento meravigliosa e di fatto intatta, con piccole e medie aziende specializzate e laboratori artigianali che sono esattamente ciò che Chanel idealmente cerca in fatto di qualità, unicità, eccellenza. Negli anni abbiamo investito in diverse aziende, con le quali quasi sempre c’erano già rapporti commerciali di lunga data. L’esempio più recente è Mantero per la seta, ma, sempre in Lombardia, c’è Roveda per le calzature e nel maggio 2023 eravamo entrati nel capitale di Cariaggi, con Brunello Cucinelli».

Condividere le innovazioni di Nevold con altre maison, affidarsi allo stesso produttore di filati di un “competitor”: non avete paura della concorrenza?
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Abbiamo rispetto, non paura. La competizione leale, il confronto, fanno sempre bene. È il motivo per il quale non imponiamo alle manifatture con le quali collaboriamo, anche quando abbiamo quote di maggioranza o le controlliamo al 100%, di produrre solo per Chanel. È sempre utile e stimolante abbracciare punti di vista diversi da quelli di partenza. Quanto a Nevold, ripeto: penso sia quasi un imperativo morale alleggerire gli impatti negativi che l’industria della moda ha sull’ambiente. E su Cariaggi e la “convivenza” con Cucinelli aggiungo che l’anima creativa di Chanel non potrà mai essere uguale a quella di altri. Ci sono state e ci saranno evoluzioni, scintille, sorprese, ma sappiamo cosa abbiamo costruito e cosa rappresentiamo, anche come cultori e custodi dell’artigianalità, in Francia e nel mondo. La differenza tra i marchi del lusso, sempre di più, la faranno la qualità delle materie prime, per definizione finite, e il servizio ai clienti. Per questo non abbiamo problemi a condividere progetti come Cariaggi con aziende come Cucinelli. E per questo investiamo tantissimo in formazione: a chi lavora nelle nostre boutique affidiamo il racconto di ogni prodotto e di come si inserisce nell’universo Chanel. Il loro contributo per far sognare le clienti a occhi aperti, prima e dopo l’acquisto, è fondamentale».

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