Gli indizi spesso sono piccoli, ma ripetuti. Bilanci depositati da soggetti diversi che però presentano voci identiche, imprese che spuntano all’improvviso con assetti societari modificati a ridosso delle domande per ottenere un finanziamento. Ci sono addirittura istanze in apparenza inviate da distinte società ma trasmesse da un unico indirizzo Ip e la ricorrenza, per più soggetti scollegati, dei medesimi professionisti asseveratori. E poi le partite Iva: quelle “apri e chiudi”, in particolare. Rappresentano ormai uno dei principali alert di un sistema di frode multilivello che attraversa la bonus economy, con i soldi Pnrr, Fondo di garanzia Pmi, Sace e incentivi Gse.

Parte da qui il Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di finanza. Da anomalie che, una dopo l’altra, compongono la mappa delle richieste di finanziamento sospette. A fare da filtro è l’analisi di rischio svolta dagli investigatori: un’operazione chirurgica che incrocia dati, traccia reti opache tra imprese, scandaglia documenti.

Lo screening

Si parte dalle banche dati, ma non ci si ferma lì. Le imprese richiedenti sono passate al setaccio: si guardano quelle sottoposte a procedure concorsuali o giudiziali e con irregolarità fiscali e contabili (come aver omesso i versamenti o il deposito del bilancio). Le operazioni straordinarie – trasformazioni, fusioni, scissioni – a ridosso delle richieste sono un campanello d’allarme, così come le modifiche societarie in favore di soggetti privi di capacità imprenditoriali, talvolta gravati da precedenti di polizia. Ogni informazione acquisita è un parametro. E ogni parametro ha un peso.

Quando il rischio supera una certa soglia scatta il controllo della componente territoriale della Guardia di finanza. È lì che si verifica se la sede esiste davvero, se le immagini satellitari estrapolate da Google Earth corrispondono a quanto dichiarato, se dietro quella società c’è davvero un’attività o solo una testa di legno.

I riscontri sul campo

Gli accertamenti sul campo sono serrati. I risultati sono nelle relazioni di servizio. Richiedenti che hanno allegato bilanci falsi, simulando il deposito alla Camera di commercio. Documenti contabili di svariate annualità presentate lo stesso giorno. Sono state trovate anche dichiarazioni fiscali totalmente false, che riportavano – addirittura – ricevute di deposito artefatte all’agenzia delle Entrate. In diversi casi non è stata trovata coincidenza tra le voci di bilancio e le dichiarazioni fiscali con le informazioni estrapolate dalle dichiarazioni dei redditi, modelli Iva e fatturazione elettronica.

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