L’attacco Usa in Iran cambia lo scenario della crisi in Medio Oriente. Ma questo non comporterà un coinvolgimento di soldati italiani nel conflitto. Su questo il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva chiarito la posizione già il 19 giugno: «Sicuramente l’Italia non pensa di entrare in guerra con l’Iran. Non penso che ci saranno mai soldati o aerei italiani che potranno bombardare l’Iran, questo mi pare evidente e chiaro. Non solo perché è costituzionalmente impossibile, ma non c’è neanche la volontà». I rischi maggiori sono per possibili attentati in Italia alle basi Usa sul territorio. Ci sono poi i militari italiani schierati in missione di pace in Medio Oriente, che potrebbero essere oggetto di ritorsioni in quanto alleati degli Usa. L’impatto più grave potrebbe esserci al momento per l’economia, soprattutto se lo Stretto di Hormuz, per cui passa quasi un terzo del commercio mondiale di petrolio, dovesse essere oggetto del blocco dell’Iran o dei suoi alleati.

I militari italiani in Medio Oriente

Sebbene l’Italia abbia ribadito la sua posizione a favore della de-escalation e del dialogo, un coinvolgimento diretto degli USA potrebbe portare a pressioni per una maggiore partecipazione in operazioni militari o di supporto, con i relativi rischi per il personale militare italiano. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha già reso noto che sono stati fatti «rientrare alcuni militari italiani che stavano a Baghgag per il rischio di ritorsioni contro una base dove c’erano anche americani. Sono rientrati via Kuwait». I più vicini alla linea del fronte sono infatti i militari del contingente italiano impegnato in Iraq e Kuwait: complessivamente circa 1.100 uomini. In Libano, poi ci sono sempre i circa 1.100 militari italiani che partecipano alla missione UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) delle Nazioni Unite. Il cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria (equipaggio di 200 uomini) è poi impegnato nella missione europea Apsides, che fronteggia missili e droni dello Yemen scortando il naviglio mercantile. Personale militare è anche presente nel Sinai, in Qatar, Emirati Arabi Uniti e Barhain.

Le basi militari Usa in Italia

Bersaglio di attacchi terroristici potrebbero diventare i centri della presenza Usa in Italia. Non è un caso che l’intelligence sia da giorni allertata: al Ministero dell’Interno si terrà alle 12 una riunione del CASA (comitato analisi strategica antiterrorismo). Sempre al Viminale, oggi pomeriggio alle 16:00 è convocato il CNOSP (Comitato nazionale ordine e sicurezza pubblica) presieduto dal Ministro Matteo Piantedosi con la partecipazione dei vertici di intelligence e forze di polizia. Nel mirino di attacchi terroristici potrebbero finire in primis le basi Usa che potrebbero essere utilizzate nel tipo di operazione che sta portando avanti la amministrazione Trump in Iran. L’unica base in Italia in grado di supportare il decollo dei bombardieri strategici Stealth B2 Spirit utilizzati dall’aviazione militare Usa in Iran è quella di Aviano (Friuli-Venezia Giulia) che però, insieme a quella di Sigonella (Sicilia), è una base Nato e quindi soggetta alle regole d’ingaggio dell’Alleanza atlantica. L’unica base a completa disposizione dell’Aeronautica militare Usa nel nostro Paese è quella di Camp Darby, in Toscana, ma non è in grado di supportare il decollo degli Stealth avendo una pista troppo corta. Mentre la dichiarazione di guerra richiede una delibera del Parlamento, l’autorizzazione al sorvolo e all’uso di basi militari da parte di forze armate straniere rientra nelle competenze del Ministero della Difesa, che informa il Parlamento. In Italia ci sono circa 12mila militari Usa: principalmente concentrati, oltre che ad Aviano, Sigonella e a Camp Darby, anche a Vicenza, Gaeta (Lazio) e Napoli.

Nodo energia e interscambio

L’area del Medio Oriente è cruciale per l’approvvigionamento energetico mondiale. Un’escalation del conflitto, dovuto al coinvolgimento degli USA, potrebbe portare a un blocco o significative interruzioni nello Stretto di Hormuz, passaggio strategico per quasi un terzo del traffico commerciale di petrolio mondiale e un quinto del gas naturale liquefatto (GNL). Ciò causerebbe un aumento vertiginoso dei prezzi del petrolio e del gas, con conseguenti rincari per aziende e famiglie italiane, aumento dei costi di produzione e trasporto, e un impatto negativo sull’inflazione e sul potere d’acquisto. Si stima che il 40,7% dell’import energetico italiano provenga da aree a rischio. Ma per lo Stretto di Hormuz passano quasi 200 miliardi annui dell’interscambio (import più export) dell’Italia con il resto del mondo, quasi il 17% del totale.

I rapporti con i Paesi arabi e nodo migranti

L’Italia ha relazioni strette sia con Israele che con alcuni Paesi arabi e del Nord Africa. Un coinvolgimento diretto degli USA in un conflitto allargato potrebbe creare tensioni nelle relazioni con partner importanti come l’Algeria (per il gas), l’Iraq (per il petrolio) e la Tunisia (per i migranti), che hanno posizioni più “estremiste” sulla questione palestinese. Un’intensificazione dei conflitti nell’area potrebbe destabilizzare alcuni Paesi e generare nuove ondate migratorie verso l’Europa, e di conseguenza verso l’Italia, mettendo ulteriore pressione sul sistema di accoglienza e gestione dei flussi.

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