L’allarme è netto: l’editoria, presidio costituzionale del diritto all’informazione, è oggi schiacciata da un mercato digitale in cui la concorrenza non è più alla pari. L’industria dell’informazione italiana – quotidiani, periodici, radio, tv e libri – fa fronte comune e chiede al Governo una risposta urgente. E lo fa con un comunicato congiunto che porta la “firma” della Fieg (La Federazione italiana editori giornali), l’Aie (l’Associazione italia editori) e di Confindustria Radio Televisioni. Gli editori ricordano che il loro compito non è soltanto industriale: «Siamo garanti del pluralismo, produttori di conoscenza, attori del dibattito civile. Un ruolo riconosciuto dalla Costituzione, ma oggi messo in crisi dalla forza pervasiva delle Big tech, capaci di alterare equilibri e regole del gioco» scrivono.

“Il tempo è scaduto”

Il settore definisce la situazione una vera emergenza e invita Governo e Parlamento a intervenire subito per riequilibrare il mercato. L’obiettivo è chiaro: garantire un futuro economico, sociale e culturale all’impresa editoriale italiana, considerata un presidio essenziale della democrazia e della libertà di informazione. Gli editori propongono un pacchetto organico, non interventi episodici; una politica industriale, non misure tampone.

Contenuti sfruttati, ricavi dirottati

Il meccanismo è noto, ma nel comunicato assume una chiarezza definitiva: le piattaforme digitali aggregano e monetizzano i contenuti prodotti dagli editori riconoscendo solo briciole dei diritti d’autore. Offrono servizi gratuiti che competono con le fonti originali, drenano raccolta pubblicitaria e trattengono la quota maggiore dei ricavi grazie ai dati degli utenti.

L’effetto è un indebolimento strutturale della sostenibilità economica delle imprese editoriali, costrette a sostenere i costi della produzione originale senza avere accesso alla stessa capacità di monetizzazione. Un circolo vizioso che la regolazione tarda a spezzare.

Algoritmi opachi, dipendenza crescente

Il cuore del problema è anche tecnologico. Gli algoritmi delle Big Tech, non trasparenti, decidono la visibilità dei contenuti e condizionano l’accesso dei cittadini all’informazione. Gli editori, pur responsabili legalmente di ciò che pubblicano, sono di fatto subordinati a logiche che non controllano.

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