È motivata la denuncia che ho letto sul santuario dei cetacei? Un po’ si, ma solo un po’ .
È vero che in certi casi si pensa che attribuendo un nome si risolva un problema. Santuario, in effetti, fa pensare a silenzio, meditazione, solitudine, mentre quello tra la Costa Azzurra, la Corsica e la Liguria è uno dei tratti di mare più frequentati del Mediterraneo. Da migliaia di anni ci navigano gli umani e da milioni di anni ci vivono balenottere comuni, capodogli e altri cetacei. Vanno tutti lì per mangiare. Nei crepacci abissali di quel tratto di mare si formano correnti ascensionali che portano in superficie i nutrienti che danno vita all’intera catena alimentare. Per questo c’è un bengodi di pesci, gamberetti e calamari, un vero e proprio ristorante in alto mare.
“Ma davvero è stata inutile la sua istituzione?”chiedo all’Ammiraglio Sergio Liardo che ha comandato il Porto di Genova e conosce il nostro mare come nessuno.
“No, anzi, meno male che c’è. Il Santuario ha creato attenzione e sviluppato sensibilità.”
In effetti, che balene e capodogli vivevano lì, lo sapevano già gli antichi romani, ma nessuno se ne era mai occupato. Cousteau abitava lì davanti, ma aveva preferito i mari esotici, più avventurosi e frequentati da animali più facili da fotografare. Una balenottera comune è un gigante pauroso, elusivo e soprattutto non è colorato. Un capodoglio è grigio come l’ardesia. La televisione a colori reclamava colori e i cetacei non ne hanno di sgargianti. E così i cetacei del nostro mare sono rimasti degli sconosciuti.
Quando nel 1998 organizzai la prima spedizione per incontrare in acqua le balene, non potevo chiedere consigli a nessuno, nessuno era mai andato a cercarli. Per fare un servizio di pochi minuti per Superquark e una pagina per il National Geographic, impiegai un mese. Io entravo in acqua e le balenottere si immergevano e sparivano. Sbagliavo qualcosa, ma non sapevo cosa. Fu tutto molto complicato.
Oggi è cambiato tutto: molte Associazioni studiano questi colossi del mare e hanno imparato molte cose. Non c’è solo l’osservazione umana, oggi droni di grandi capacità li identificano e l’Università di Barcellona sta lavorando a un metodo che permetterà, grazie all’intelligenza artificiale, di localizzarli e comunicarne la posizione alle navi in transito che potranno così ridurre la velocità.
Ora serve però che i francesi smettano di fare le loro esercitazioni militari lì davanti, perché esplosioni e sonar sconquassano i cervelli delle balene.
Il Santuario lo hanno voluto anche i francesi, oggi non possono più essere i vicini rumorosi che tengono la radio a tutto volume. Io sono fiducioso.
* Alberto Luca Recchi è un esploratore del Mare. L’unico italiano ad avere fatto un libro fotografico per il National Geographic. Sue sono le prime spedizioni alla ricerca di squali e balene nel Mediterraneo. Ha scritto molti libri, di cui 5 con Piero Angela. Autore del podcast “Un mare di Storie di Alberto Luca Recchi”
Alberto Luca Recchi (Alberto Luca Recchi)