Storie Web venerdì, Giugno 13
Notiziario

Timido segnale di ripresa in Italia per le adozioni internazionali, anche se restano lontani i livelli di soli 10 anni fa. Nel 2024 sono stati 691 i minori stranieri accolti da una mamma “di cuore” del nostro Paese. Le procedure sono state 536, il 12% in più rispetto alle 478 dell’anno precedente. I numeri fanno ben sperare, ma il confronto con il passato resta impietoso: nel 2015 le adozioni furono 1.811. Nel 2010, anno del picco storico, oltre 4.100.

La flessione degli ultimi anni riguarda tutto il mondo e rispecchia trasformazioni complesse. Alla base del calo ci sono sia cause strutturali sia contingenze geopolitiche, come spiega Vincenzo Starita, vicepresidente della Commissione per le Adozioni Internazionali (Cai),: «In molti Paesi d’origine sono migliorate le condizioni dell’infanzia. Altrove, come in Ucraina, la guerra ha interrotto i canali adottivi. In Stati come Etiopia, Cina o Russia le frontiere sono state chiuse per motivi nazionalistici». Allo stesso tempo, incide anche la situazione interna con costi procedurali elevati e l’età sempre più avanzata dei genitori. Non a caso, anche le adozioni nazionali sono diminuite, passando da 1.290 nel 2001 a 866 nel 2021.

I dati 2024 raccolti dalla Cai e anticipati al Sole 24Ore fotografano un profilo chiaro: i bambini adottati hanno in media 6 anni e 3 mesi e provengono soprattutto da Ungheria (149 minori per 100 procedure), India (104 minori per 88 procedure) e Colombia (110 minori per 81 procedure).

Ma se la maternità adottiva è fatta di attese, scoperte e conquiste, non mancano le difficoltà, spesso già in fase iniziale. Anna Guerrieri, presidente del coordinamento Care e madre proprio grazie all’adozione, sottolinea come le leggi italiane, pur equiparando formalmente adozione e nascita biologica, creino, nei fatti, una «parità imperfetta». «Molti strumenti di welfare familiare – spiega – si basano sull’età del bambino, rendendo difficile la loro piena fruizione da parte di genitori adottivi di figli più grandi».

Un altro aspetto da tenere presente riguarda i bisogni speciali. Ben il 67,1% dei bambini accolti nel 2024 rientra nella categoria “special needs”, che – secondo la definizione del Permanent Bureau della Conferenza de L’Aja – comprende minori sopra i 7 anni, con disabilità o parte di fratrie numerose. Una realtà che rende ancora più cruciale il sostegno pubblico oltre che la formazione a scuola, «per gestire le differenze e offrire un supporto adeguato ai bambini con background adottivo» dice Guerrieri.

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