I batteri sono buoni alleati anche dei restauratori che ormai lavorano gomito a gomito con i microbiologi ambientali. «Ogni lavoro di restauro ha delle peculiarità legate alla stessa storia dell’opera – osserva Chiara Alisi, ricercatrice biochimica in Enea Casaccia -. Si tratta quindi di trovare l’enzima adatto». Da qui l’importanza della banca dati di ceppi di Enea/Emcc che all’abbisogna intervengono per “rinfrescare” le opere.

«I batteri vengono selezionati in laboratorio – racconta Alisi – sulla base della capacità di produrre enzimi, acidi organici e molecole bioattive che sono in grado di “sciogliere” o digerire i depositi sulle opere d’arte, come colle animali, resine naturali e sintetiche, cera d’api o ossidi di ferro».

Interessante il recente intervento pulitura di una vetrata del 1500 dove resti di resine e di ossalato di calcio stavano dando filo da torcere. «Abbiamo tentato una via alternativa all’uso di soluzioni chelanti perché sulla vetrata erano presenti zone con grisaglia (silicato piombico), che verrebbero danneggiate dai metodi tradizionali di pulitura». Due i ceppi selezionati, uno dei quali è stato isolato dal terreno inquinato da metalli pesanti e idrocarburi di Masua (Sardegna).

L’altro proveniente da una tomba etrusca e già depositato come brevetto. «Per la problematica aggiuntiva di resine e grassi, si è scelto il ceppo Serratia ficaria SH7 già impiegato nella pulitura dei marmi della Sagrestia Nuova di Michelangelo».

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